Il titolo scelto per il convegno che si è tenuto oggi a Forlì a cura del Centro per la Salute del Bambino lo aveva annunciato a chiare lettere: “Investiamo nei primi mille giorni di vita!”. E Giancarlo Biasini, ex Direttore della Pediatria di Cesena, ha onorato l’impegno, raccontando che cosa possono fare i genitori per fare “fruttare” al meglio il periodo da zero a tre anni dei figli dal punto di vista dell’intelligenza e del comportamento. La domanda è semplice: come possiamo far diventare i bambini degli adulti avvantaggiati? Con la semplicità di quattro verbi di uso comune, Biasini ha elencato le azioni migliori che famiglie e servizi devono tenere sempre in considerazione, citando a supporto delle sue tesi decine di studi – quasi tutti stranieri – che confermano l’importanza di puntare su quei mille famosi giorni.
“PARLARE”. Una ricerca ha mostrato che i figli di professionisti ascoltano 2.153 parole all’ora rispetto ai figli di famiglie povere, che ne sentono 616. La differenza economico-culturale si gioca anche sul piano delle frasi che proibiscono ai bambini di fare una certa cosa (il rapporto è 11 a 5) e delle parole di incoraggiamento (32 a 5). Con conseguenze evidenti sull’autostima e lo sviluppo del vocabolario. Un altro studio realizzato in Terapia Intensiva ha mostrato come i vocalizzi dei neonati inizino prima laddove i genitori parlano di più ai loro piccoli. Il miglior sviluppo linguistico è stato poi registrato nei figli di genitori che leggono (vedi il programma Nati per Leggere dedicato alla promozione della lettura ad alta voce).
“NUTRIRE”. Una ricerca effettuata su 3.400 bambini allattati al seno ha messo in evidenza che quegli stessi bambini, a sei anni, avevano uno sviluppo cognitivo maggiore rispetto a chi era cresciuto con l’artificiale. Non solo: nei test di intelligenza verbale e non verbale, a sette anni il primo gruppo di bambini faceva registrare punteggi più alti. Ma bando alla retorica del latte di mamma, consiglia Biasini: “Tutti ci siamo chiesti se l’effetto benefico arrivi dalla qualità del latte o dal fatto che la mamma tiene il bimbo in braccio mentre lo nutre, lo coccola e gli parla. Altre evidenze ci dicono che conta di più il secondo”. Nutrire infatti non significa solo cibo, vuol dire soprattutto affetto. Un altro studio ha fatto vedere come i bambini che a otto mesi avevano un buon livello affettivo, a 34 anni soffrivano meno di ansia, somatizzavano meno lo stress, erano meno ostili, provavano meno rabbia.
“CONSIGLIARE”. Il supporto alle madri conta eccome per i bambini. Una ricerca sulle visite domiciliari nei confronti di donne minori di 19 anni in gravidanza ha mostrato come le figlie di quelle stesse donne avessero meno problemi cognitivi e meno disturbi del comportamento e avessero meno di frequente, a loro volta, gravidanze precoci. Uno studio sulle visite domiciliari evolute, dove l’assistente registrava a più riprese momenti della vita familiare per poi analizzarli con le famiglie stesse, ha avuto il risultato di elevare le capacità genitoriali.
“EDUCARE”. Chi è andato al nido, a 21 anni ha maggiori probabilità di essere più scolarizzato di chi non ci è andato e di trovare un buon lavoro. Un’altra ricerca dà inoltre un risultato ancora più sorprendente: i bambini di famiglie molto povere, se frequentano servizi pre-scolari riescono ad annullare gli effetti negativi del contesto sociale di riferimento, con conseguenze molto positive. I loro prerequisiti scolastici e poi i loro livelli di apprendimento successivo saranno uguali a quegli di chi viene da famiglie agiate.
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