Per l’Istituto degli Innocenti le famiglie omogenitoriali “funzionano”

mamme gayLe famiglie omogenitoriali funzionano: il dato è emerso durante il seminario “Le famiglie omogenitoriali nella scuola e nei servizi educativi”, organizzato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze e da Famiglie Arcobaleno, l’associazione nazionale dei genitori omosessuali e transessuali.

L’equivoco di fondo che è stato affrontato è che per alcune persone la famiglia omogenitoriale non sarebbe concepibile, poiché non costruita sulla relazione riproduttiva uomo-donna: “Si tratta di una proiezione dello stereotipo che vuole che la fecondità riproduttiva risieda per forza nel concepimento, inteso però solo come atto copulativo tra persone di sesso diverso. Le cose non stanno sempre così: sono le persone ad essere potenzialmente feconde e le famiglie omoaffettive con prole esprimono concretamente questa potenzialità. I cuccioli possono nascere, o essere già nati e adottati, da coppie o single o anche da tre o più genitori”. Lo dice Giuseppina La Delfa, presidente dell’associazione.

Il dovere dello Stato – è emerso dal convegno – “è quello di preparare insegnanti e altri genitori all’accoglienza delle nuove famiglie. È quello di istruire sulle capacità genitoriali delle persone omosessuali o transessuali, capacità che nulla hanno a che vedere con l’orientamento sessuale. È quello di aprire al rispetto e alla dignità e non certo di chiudersi al mondo che cambia. La scuola è il primo terreno e il più importante in cui si trasmettono i concetti chiave della società in cui si vive e oggi, purtroppo, la nostra scuola è ancora terribilmente in ritardo su questi temi”.

Il nocciolo della questione, sviluppato dalla dottoressa Irene Biemmi nella sua relazione, è che nei libri di testo adottati dalle scuole, continua ad essere rappresentato esclusivamente un modello di famiglia stereotipato, la cosiddetta «Famiglia “Mulino Bianco”», composta da un maschio, il babbo, e da una femmina, la mamma, in cui il primo è raffigurato come anaffettivo, con valigetta e cravatta; la sua funzione sociale, in ambito famigliare, sarebbe perciò quella di mantenere la mamma, la quale, a sua volta, è sempre in casa, aspetta stirando o apparecchiando mensa che i figli tornino da scuola e, se lavora (quando lavora), fa: la maestra, l’estetista, la parrucchiera, al massimo l’infermiera… Il padre invece fa di tutto: qualsiasi lavoro gli si addice, dal giornalista al cosmonauta… In pratica, fin dall’età scolare, a bambine e bambini si sta dicendo: al maschio, “Nella vita puoi fare tutto”; alla femmina, “Ricordati che il tuo ruolo primario è quello materno e le prospettive di realizzazione lavorativa per te sono: al massimo, la maestra…”.

“Questa rappresentazione della realtà appare quantomai anacronistica – commenta La Delfa – al punto da essere irreale. La realtà non è rappresentabile attraverso stereotipi, perché sono semplificazioni dannose, per le singolarità e per la società, attuale e di domani: la riproposizione stereotipata di questi modelli implica la non educazione delle classi, ossia la rinuncia al motivo stesso di esistere delle istituzioni scolastiche”.

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