“Dei bambini non sappiamo niente. Conoscerli è il primo passo per educare”. Parla lo psicologo Ezio Aceti

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Quali sono le sfide che la contemporaneità pone agli educatori? Quale approccio è meglio adottare con bambini e ragazzi? Ne abbiamo parlato con lo psicologo Ezio Aceti, che domani sera sarà protagonista di un incontro a San Marino, alla Sala del Castello di Domagnano.

Dottor Aceti, cosa significa educare oggi?
“Prima di tutto significa conoscere i bambini e i ragazzi, perché non li conosciamo affatto. In buonafede si fanno molto errori, tra cui quello di dare per scontato l’amore per i bambini. Ma non è così: l’amore è personale, rivolto verso un essere che per noi è speciale. Anche la scuola è indietro di cinquant’anni. E’ importante diffondere una cultura sull’infanzia e a questo proposito ho un sogno: i neogenitori dovrebbero essere obbligati a frequentare un paio di incontri che facciano loro capire cos’è un bambino”.

E cos’è un bambino?
“Maria Montessori ne ha dato una definizione splendida, secondo cui un bambino non è un piccolo adulto, ma un essere completo che funziona diversamente. Questo approccio elimina due importanti pregiudizi: intanto non esistono caratteri belli e caratteri brutti. Tutti abbiamo il nostro carattere, di cui dobbiamo imparare a diventare padroni. Poi, all’interno di una relazione non c’è chi ha ragione e chi ha torto; esistono due visioni che si confrontano”.

Quale errore è particolarmente comune tra i genitori?
“La mancanza di positività. L’80 per cento delle volte i genitori si rivolgono al figlio per ammonirlo, quasi mai per lodarlo. Occorre invece avere una visione positiva”.

Se dovesse dare una definizione di educatore?
“Mi piace paragonarlo a un pellicano. Nell’educare è fondamentale porgere la realtà gradualmente. Pensi a come si comporta il pellicano per nutrire i piccoli: vede i pesci, li cattura, li mastica e solo dopo li porge ai piccoli, in una forma che loro possono assorbire. L’educatore deve comportarsi allo stesso modo con i bambini e i ragazzi”.

Uno degli aspetti della contemporaneità che più preoccupa i genitori è l’accesso dei figli ai social network. I divieti servono a qualcosa?
“Condivido quanto detto da Umberto Galimberti: i mezzi di comunicazione di massa non sono né belli né brutti, ma sono rapidi. E noi siamo una generazione pretecnologica, non abbiamo una cultura dell’uso dei media perché non abbiamo una cultura dell’infanzia. Il problema non sono gli strumenti. Come consideriamo il bambino e il giovane lo si vede bene nella scuola, dove le pagelle vengono consegnate ai genitori, mentre sono convinto che il bambino dovrebbe essere presente. Questo atteggiamento è tipicamente femminile. Sa cosa le dico? Il fatto che l’educazione in Italia sia quasi interamente gestita da donne è un dramma. E a questo proposito lancio una provocazione: nelle scuole bisognerebbe introdurre le ‘quote azzurre’! Almeno il 20-30 per cento dei maestri dovrebbe essere di sesso maschile”.

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