Multi-mamma e molto social. Lia Celi: “Viva il nido e i genitori imperfetti”

Lia Celi: scrittrice, giornalista, twitstar e multi-mamma
Lia Celi: scrittrice, giornalista, twitstar e multi-mamma

“L’importante è la salute”. Quando le chiedono come fa con quattro figli, il lavoro, la casa, la scrittrice, giornalista e oggi anche “twitstar” riminese Lia Celi risponde così: “Faccio tutto male”. Al Meeting dei nidi di Faenza venerdì 21 novembre alle 12 lo racconterà senza peli sulla lingua durante l’intervento “Se i genitori sono social. Influenze del web su genitorialità e dintorni”.
Lia, una multi-mamma come lei come si organizza?
“I miei figli hanno 16,14,12 e 6 anni. Ho la fortuna di avere un lavoro flessibile ma allo stesso tempo mi sono imposta di non essere una perfezionista: purtroppo le mamme sentono sempre di dover corrispondere a certi canoni standardizzati, di dover fare tutto bene. Questo scatena frustrazioni, sensi di colpa e un confronto malato con le altre, in una competizione senza fine che sui social, poi, si esprime in maniera inesorabile, elevandosi al cubo. Io non ho l’ambizione di avere figli fantastici e felici, mi rassegno alla nostra imperfezione. Basta stare bene”.
Servizi educativi, nidi soprattutto. Di questo si parlerà a Faenza. Lei ne ha usufruito, quando i suoi bambini erano più piccoli?
“Assolutamente sì, per tutti e quattro. Ho vissuto in maniera abbastanza animale il rapporto fisico con loro, quando erano neonati. Poi, una volta che hanno iniziato a camminare, tutti al nido. In Italia, purtroppo, assisto ad una grossa ambivalenza: le mamme lamentano scarsità di servizi, costi altissimi, politiche poco conciliative per la famiglie. Poi, però, restano legate ad una concezione arcaica secondo la quale i bambini crescono bene solo se stanno con loro. E si creano forti diffidenze verso educatrici, maestre e in generale verso chi si occupa dei figli. Il tempo pieno a scuola ci fa sentire male, dimentichiamo che invece i bambini stanno bene con gli altri bambini. Io sono figlia unica, sono cresciuta nei cortili insieme ai miei coetanei, con qualche adulto che a turno ci dava un’occhiata”.
Viva il nido, insomma?
“Assolutamente sì. Per me, che ho perso mia madre abbastanza presto, è stata la salvezza. Il nido dà libertà ai genitori, alle donne in particolare. E ben vengano anche le baby sitter: tante volte, stanchi e un po’ depressi, dimentichiamo quanto è importante prendersi degli spazi come coppia, uscire a cena. ‘Chi me lo fa fare?’, ci diciamo. Ma certe carenze, certe trascuratezze, si ripresentano più avanti, mettendoci di fronte ad un rapporto ormai logorato. Perché, diciamocelo, i bambini sono bellissimi. Ma tante volte sono pure dei rompiscatole”.
Quanto aiutano, i social, a trovare risposte sui loro comportamenti?
“I social sono un’arma a doppio taglio. Da un lato hanno permesso a molte mamme di uscire dall’isolamento e dalla solitudine. Per quelle, soprattutto, con una bel lavoro e tanta ambizione, ritrovarsi a casa da un giorno all’altro con un bimbo attaccato al seno che non ti lascia fare nulla i social sono un antidoto alla depressione post-parto. Dall’altro, i social sono la faccia peggiore dei capannelli di genitori davanti alle scuole: cavolate, grappoli di commenti inutili, competizione spinta tra i risultati dei figli. Lo vedo dai gruppi su WhatsApp, che sono di fatto dei mini-social: quanto parlarsi addosso. Lì, davvero, il senso di inadeguatezza che proviamo noi mamme prolifera. Ci si confronta su tutto, con esiti terribili”.
E i papà, in tutto questo?
“Molti hanno aperto blog e si sono lasciati andare, mettendo in mostra sentimenti, raccontandosi a modo loro. Sono cose che nei giornali, dove spesso le rubriche sulla genitorialità sono affidate alle donne, non si ritrovano”.
Un modo per rivalutarli?
“Forse un modo per loro stessi di rivalutarsi. Credo che molti padri stiano ripensando il proprio ruolo, la propria figura. Noi donne non avremmo mai rifiutato il loro aiuto e la loro solidarietà, se ce li avessero offerti in passato. Ma c’è anche da capire che in una società dove se prendono il congedo parentale sono guardati male e scherniti, fare quel passo in avanti è difficile”.
Forse dovremmo aspettarci tutti – donne e uomini – un po’ di meno da noi stessi?
“Assolutamente sì. Sdrammatizziamo il nostro essere genitori, riappropriamoci del nostro essere adulti. Fare le mamme e i papà non è la realizzazione della vita, non serve a fare un servizio allo Stato, né tantomeno a riempire le nostre falle esistenziali, se ne abbiamo. Bisogna alleggerirsi, essere più scriteriati e meno consapevoli. Tanto non riusciremo mai a tenere sotto controllo la vita degli altri: no, nemmeno quella dei nostri figli”.

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