Si è aperto a Ravenna il processo a carico di funzionari dei Servizi Sociali, per un caso, sostiene la madre e soprattutto l’accusa, di sottrazione di un minore con abuso d’ufficio.

ragazza, adolescenza, problemi dei ragazzi, depressione, tristezzaBrevemente: una ragazza viene abbandonata, praticamente alla nascita, da padre e madre e viene allevata dai nonni. Da grande viene seguita dai servizi sociali per problemi psicologici e fisici che la portano ad una vita marginale. Trova comunque lavoro ed anche quello che credeva un vero amore, per cui decide di fare un figlio. Rimane incinta e tanta era la voglia di maternità da farle sospendere una cura (incompatibile con la gravidanza) indispensabile per il suo malanno fisico che le costava enormi sofferenze anche solo per spostare una sedia. Il parto va a buon fine e nasce un bel bambino, ma subito i Servizi Sociali vogliono toglierle il bambino, adducendo la scusa che “lei non lo teneva sufficientemente in braccio” (per forza, avendo sospeso la cura, la sua malattia si era aggravata).

Dopo minacce e ricatti lei accetta il compromesso di farsi “rinchiudere” in una casa-famiglia, abbandonando casa sua ed il suo uomo, pur di rimanere con il suo bambino. Pensate cosa poteva voler dire, per una ragazza che era stata abbandonata alla nascita dai genitori, battersi per tenere il proprio figlio. La vita nella casa-famiglia non è delle più tranquille perché lei entra spesso in discussione con il capo, il quale, da perito elettrotecnico, compila le relazioni psicologiche da mandare ai Servizi Sociali (sic!), sulle quali i Servizi e successivamente il Tribunale dei Minori assumeranno le proprie decisioni. Dopo un anno e mezzo di questa vita, una sera, tornando dal lavoro, la ragazza scopre che suo figlio non c’è più ed è stato dato in affido ad una famiglia di un’altra provincia. La cosa orribile sembra essere che vi erano stati dei pour parler per fare diventare questo affido una specie di “pre-adozione”.

Disperazione di una donna che ha perso l’amore per tenere il figlio ed ha perso il figlio per la protervia dei Servizi, dopo aver messo a rischio la propria salute e la vita.

Da più di 5 anni si batte per ricostruire la propria vita, ma: i Tribunali dei Minori sono delle istituzioni medievali, dove non c’è contraddittorio, non c’è appello, le decisioni vengono prese all’insaputa degli interessati e sulla base di relazioni dei Servizi, che spesso vengono fotocopiate e diventano sentenza.

La poveretta si è dovuta rivolgere alla Giustizia Penale con una denuncia che almeno, grazie alla solerzia del PM, ha di fatto bloccato una procedura di adottabilità già in corso, e che avrebbe fatto perdere definitivamente ogni speranza alla madre.

Comunque vada il figlio rimarrà in affido fino ai 18 anni alla famiglia che lo sta tirando su, ma almeno la madre potrà vederlo e, speriamo, avrà la soddisfazione di veder condannati coloro che hanno fatto tanto male ad una donna che dalla vita aveva ricevuto solo schiaffoni.