Da medico ginecologo, adora le ostetriche. E non ha paura a dire verità che scottano, scomode per la sua categoria. Carlo Flamigni, pioniere della fecondazione assistita, sarà questa sera alle 21 a Ravenna (sala Buzzi, via Berlinguer 11) nell’ambito del Darwin Day 2015 organizzato dal circolo provinciale Uaar. Il professore presenterà insieme alla moglie e sociologa Marina Mengarelli (con lui nel Comitato nazionale di bioetica) il libro edito da Franco Angeli “Nelle mani del dottore? Il racconto e il possibile futuro di una relazione difficile”. Modererà l’incontro Riccardo Zannoni.
Dottore, gli italiani non hanno più fiducia nei medici. Perché?
“Ci siamo fidati troppo, ora non ci fidiamo più. Dopo l’epoca degli stregoni e dei sacerdoti, si aprì l’era della medicina laica: quella in cui si chiedeva al medico una dedizione alla professione. Fino a che si è imposto il modello contrattuale, dove chi ne sa poca si affida a chi ne sa molta. Un tipo di medicina che si riduce a una firma in fondo a un foglio e che porta spesso in tribunale. Oggi, in Italia, prevale il modello difensivo: il medico fa quello che può ma soprattutto quello che gli evita cause legali. In molte regioni la metà dei parti avviene con cesareo: è l’esempio classico. Evitando di mettere le mani in vagina, il medico si difende dalle possibili complicazioni: un braccio rotto, una lesione nervosa”.
Il modello ideale quale sarebbe?
“Quello dell’etica delle piccole virtù: il medico che tiene conto dei diritti dei pazienti, che spiega con facilità le cose, che si assume le proprie responsabilità, che empatizza con il malato. L’estremo di tutto questo, però, è il famoso consenso informato, grande conquista etica nella quale, però, la volontà del paziente di non affidarsi a nessuno, di poter scegliere, porta di fatto alla perdita di quel collante straordinario che dovrebbe cingere il rapporto tra chi vuole essere curato e chi sa curare. Se poi aggiungiamo la medicina basata sul guadagno e gli interessi delle case farmaceutiche, ecco che il quadro si complica”.
Un esempio che riguardi le donne, in particolare la gravidanza?
“L’acido folico. A chi cerca un figlio si consiglia di assumerlo. Ma perché prendere un farmaco quando si possono mangiare insalata, fegato e altri cibi che lo contengono? Stessa cosa per le malattie inventate: tempo fa sono stato invitato all’inaugurazione di un centro per la sterilità a Napoli. Durante il mio intervento ho detto che spesso, alle donne che intraprendono la fecondazione assistita, si fanno fare cure su cure e spendere migliaia di euro. Poi, quando è ora di prelevare le uova, magari non le troviamo. E diciamo che è colpa della sindrome del follicolo vuoto, che in realtà non esiste. Quel giorno, in seguito al mio intervento, ci fu un congresso: una delle relatrici parlò appunto della sindrome del follicolo vuoto. Un paradosso”.
La perdita di fiducia e la spersonalizzazione del rapporto medico-paziente riguarda anche la categoria dei ginecologi?
“Ci sono ottimi medici, per carità. Io, però, ho grande simpatia per le ostetriche. Sono le poche, oggi, a essere in grado di assistere un parto vaginale. Bisogna affidare loro compiti sempre più importanti: peccato che se ne abbia così paura”.
Ci sono altri nemici?
“La fretta, soprattutto. Quando un ospedale impone a un medico di dedicare tredici minuti per paziente, di fatto gli dice che comunicare con chi soffre non serve a nulla. In Europa, la prima interruzione che un medico fa a chi viene in visita avviene dopo venti secondi. Questo la dice lunga sul fatto che non ci fermiamo più a parlare con chi abbiamo davanti”.
Internet quanto sta contribuendo a screditare i medici?
“Il problema delle diagnosi fai-da-te esiste ma io credo che se ci fosse fiducia verso i medici, le persone smetterebbero di cercare informazioni da sé. Se io mi fido dell’ingegnere che mi deve costruire la casa, non vado certo a leggermi un manuale di scienze delle costruzioni”.
Ci dobbiamo fidare, invece, dei grandi proclami sull’eterologa, da poco possibile anche in Italia?
“L’eterologa in Italia si farà. Il vero problema riguarda i possibili donatori: vanno cercati, non si presentano certo da soli. La paura che possa scomparire, nel tempo, la regola dell’anonimato, è quella su cui giocano i cattolici e gli oppositori in generale. Se una donna che dona gli ovuli teme che tra vent’anni le si possa presentare alla porta di casa una ragazza alta quanto lei, probabilmente sceglierà di non donare”.
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Commenti:
Grazie Silvia, bell’articolo.
Grazie silva proprio un bel articolo
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