Faccende domestiche e figli. L’esperto: “La conciliazione non è un affare per sole donne”

todescoIl titolo è tutto un programma. Un programma alla quale la maggior parte delle donne assiste quotidianamente a casa propria, tra lavoro, figli e faccende domestiche. “Quello che gli uomini non fanno. Il lavoro familiare nelle società contemporanee” (Carocci) è il saggio che Lorenzo Todesco, sociologo e ricercatore all’Università di Torino, presenterà domani alle 9 alla Sala D’Attorre di Ravenna (via Ponte Marino) all’interno delle iniziative che il Comune sta portando avanti per promuovere la condivisione degli impegni domestici tra donne, uomini e e figli.
Professore, gli uomini “non fanno”: nonostante l’ingresso imponente delle donne nel mondo del lavoro, perché il carico familiare continua a pesare su di loro?
“Negli ultimi vent’anni il tempo dedicato dagli uomini al lavoro domestico è aumentato di venti minuti: significa un minuto all’anno. Un dato che ha stupito in negativo gli stessi studiosi. Capirne le ragioni è stato definito un ‘rompicapo sociologico’. La prima teoria proposta è quella economica: il lavoro familiare è ancora visto come una serie di attività sgradevoli, da evitare. E gli uomini userebbero il proprio potere economico, visto che spesso guadagnano di più, per scaricare l’impegno sulle donne”.
Una teoria convincente?
“Non molto. Da una ricerca effettuata in Piemonte, sappiamo che nel caso in cui la donna guadagni il 22% del reddito della coppia, si fa carico del 75% del lavoro familiare. Secondo la teoria economica, però, ci aspetteremmo che se è la moglie a guadagnare di più sarà il marito a farsi carico del lavoro familiare. Tuttavia ciò non avviene: quando la moglie guadagna il 54% del reddito di coppia, si fa comunque carico del 65% dell’impegno domestico. Ecco che, allora, la prospettiva economica non ci dice tutto”.
Questione di cultura?
“Solo in parte. L’ideologia di genere, ovvero il modo in cui le donne e gli uomini si collocano rispetto ai diversi ruoli sociali, in parte c’entra. Una donna egualitaria si fa meno carico dei lavori domestici rispetto a una donna tradizionalista. Allo stesso modo, un uomo egualitario si dedica di più alla casa e alla famiglia rispetto a un uomo con una visione tradizionalista. Qui s’inserisce il cambiamento culturale, che però per definizione è lentissimo. E ce lo conferma il fatto che una donna egualitaria si occupa del 67% del lavoro familiare e una donna tradizionalista del 72%: una differenza molto bassa”.
Spesso si dice che le donne, in casa, sono accentratrici, che faticano a delegare. Si può parlare di “colpa”?
“No, non parlerei di colpa. Piuttosto, una delle regioni per cui la suddivisione del lavoro è squilibrata ha a che vedere con il fatto che alle persone la situazione sta bene così com’è. Sempre secondo la ricerca piemontese, le donne che ritengono che la suddivisione del carico familiare sia equa, si occupano del 68% del lavoro familiare. Gli uomini che pensano la stessa cosa si occupano del 38%. Questo ci dice che c’è un problema di percezione: una situazione che oggettivamente non è egualitaria non viene percepita come tale”.
C’è un effetto sulla stabilità della coppia?
“I risultati delle ricerche sono contrastanti. Possiamo però dire che la divisione familiare influisce sul benessere psichico delle donne. Le quali, in generale, hanno livelli di disagio psichico più alti rispetto a quelli degli uomini. Secondo uno studioso americano, se il carico familiare fosse più equo, lo svantaggio delle donne in termini di benessere psichico rispetto agli uomini si ridurrebbe di un quarto”.
In tutto questo contesto, i figli come si pongono? Partecipano?
“Se la teoria economica fosse valida, ci dovremmo aspettare che i figli, maschi o femmine che siano, collaborino in maniera uguale alla vita domestica, dal momento che non dispongono di risorse economiche da utilizzare per liberarsi del lavoro familiare. I dati, però, raccontano un’altra storia. Solo tra i tre e i dieci anni, i bambini e le bambine si impegnano per lo stesso tempo: 14 minuti al giorno i primi, 17 le seconde. Dopo, fine della parità. Tra gli undici e i diciassette anni, le femmine si impegnano 48 minuti al giorno, i maschi 22. Tra i 18 e i 24 le ragazze dedicano un’ora e mezza, i ragazzi 27 minuti. Dopo i 24 anni le donne dedicano un’ora e 55 minuti, gli uomini 35 minuti. Mano a mano che il coinvolgimento, a livello di tempo, aumenta, le differenze si accentuano. Non solo: ai maschi viene in genere chiesto di fare attività per loro, come mettere in ordine la stanza, mentre alle femmine vengono richieste cose che riguardano l’intera famiglia: tenere d’occhio il fratellino, apparecchiare, sistemare il soggiorno”.
Che cosa si può fare davanti a dinamiche che paiono così consolidate?
“Sappiamo che contano molto i congedi genitoriali espressamente dedicati ai padri e pagati in percentuale molto alta rispetto allo stipendio. L’Italia, in questo, con congedi fruiti generalmente dalle madri e pagati pochissimo, è un pessimo esempio. Perché nei Paesi scandinavi i papà prendono il congedo? Non certo per fattori culturali ma perché non hanno come conseguenza la perdita del reddito. Da noi, invece le famiglie si fanno due conti in tasca. E così la conciliazione continua ad essere considerata un affare per solo donne”.

 

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