C’è sempre un punto da cui una storia incomincia. La mia e quella di Romagna mamma hanno avuto inizio quando è arrivata una fine: del mio vecchio lavoro, della mia vita da giornalista, del pensiero che si potesse fare i cronisti e avere dei figli. Arriva il giorno in cui devi ammettere a te stesso che sei davanti a una scelta: “Non riesco a conciliare”. Molli tutto e ti inventi qualcosa. Ti lanci nella mischia di quelli che provano a giocarsi un’altra carta. Cambi strada e scegli i tuoi figli.
Poi ti svegli una mattina e sai che i tuoi vecchi colleghi della Voce di Romagna, quelli rimasti dietro alla porta che hai chiuso non senza rammarico, hanno indetto una clamorosa protesta. Il comitato di redazione del quotidiano, che dallo scorso 20 febbraio ha fatto domanda di concordato al tribunale di Rimini, ha proclamato due giorni di sciopero – sabato 7 e domenica 8 marzo – perché il personale, una trentina di persone, vanta 14 mensilità non pagate. Trenta famiglie ‘indietro’ di 14 mesi con lo stipendio.
Quattordici mesi sono tanta roba. Sono la speranza che tutto torni a posto, che qualcosa si aggiusti, che quello per cui hai investito migliaia di ore della tua vita non svanisca nel nulla. Quattordici mesi per molti sono l’umiliazione di dover chiedere i soldi in prestito. Di non poter pagare l’asilo, l’affitto e le bollette. Sono quasi un anno e mezzo senza la dignità di lavorare avendo qualcosa indietro. Che so, anche solo la riconoscenza. Quattordici mesi sono il buio di un futuro che non compare.
Tra quei colleghi c’è anche mio marito. Quindi sì, da questo fortino che mi sono costruita so benissimo che cosa voglia dire vedere entrare qualcuno in questo tunnel. Non sarò la prima né l’ultima donna che ha dato una pacca sulla spalla al marito cercando le parole giuste. Perché ogni parola è sbagliata, è troppo lunga o è troppo corta, è detta sempre nel momento meno opportuno. Quattordici mesi sono un travaglio senza mai arrivare al parto. Il dolore senza la gioia della rinascita. Almeno, per ora è così.
E’ solo per un caso fortuito che cinque anni fa, quando ho fatto la scelta che mi ha portato a fondare Romagna mamma, avevo provato a rinascere. In tempi non sospetti. Quando ancora la nave solcava bene le onde. In questi quattordici mesi ho cercato di essere un faro nella notte, e non so dirvi ancora se ci sono riuscita. So che un lavoro senza retribuzione toglie la dignità.
E quindi il giorno della festa della donna mi sono venute in mente le donne che un fortino non se lo sono costruito, che non hanno avuto il coraggio di dare una pacca sulla spalla, che non sanno da dove iniziare. E mi è venuta voglia di dire loro che è sempre il momento giusto per dire qualcosa. Per alzarsi e ricominciare. Perché c’è sempre un punto da cui una storia incomincia. Ed è quello da cui un’altra è appena finita.
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Commenti:
Non sono mamma, ma condivido l’assunto e mi fa piacere rimanere informata. Grazie e buon proseguimento!
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