5839781_369436Il profumo di cuoio del primo pallone, un regalo del padre lanciato con un calcio tra le nuvole, nel cielo di Fusignano. Poi la carriera di allenatore, un’ascesa posata sempre sulle stesse rigide colonne: serietà, impegno, motivazione, rispetto, etica. Arrigo Sacchi ha lasciato un anno fa l’incarico di responsabile delle nazionali giovanili. Nonno di due bambine, la più piccola delle quali di soli quattro mesi, continua a guardare il calcio con lo sguardo di chi ci vede lo specchio della società, nel bene e nel male. Mercoledì 12 agosto, quando presenterà il libro scritto con Guido Conti “Calcio Totale” (Mondadori) a Rimini, all’interno della rassegna Moby Cult (Castel Sismondo, Piazza Malatesta, ore 21,30), parlerà anche di bambini e ragazzi: quelli che non trovano la possibilità di giocare perché le società sportive sono affossate dai debiti ma anche quelli costretti o fomentati dai genitori a inseguire il sogno del pallone.
Sacchi, il mestiere di calciatore è uno dei più ambiti tra i giovanissimi. Lei come la vede?
“Credo che la passione per il calcio esista ancora. Ma certi genitori hanno una bramosia di soldi e successo che di fatto toglie ai bambini la prima scelta, l’autonomia di decidere che sport praticare o che lavoro fare da grandi. Il calcio è spesso un’ambizione degli adulti, non dei figli”.
Anche nelle categorie più basse, non è raro assistere a insulti, parolacce e risse che vedono come protagonisti, sugli spalti, proprio i genitori. Una degenerazione?
“Il calcio è uno sport splendido che può essere però pregiudicato dall’avidità e dall’ignoranza. Può essere un sentiero di crescita per i ragazzi ma, come tutte le cose, può diventare un terreno costellato di insidie. Può essere educativo se insegna l’importanza del gruppo, degli obiettivi, il rispetto per l’avversario. Ma può essere fortemente diseducativo se trasmette l’arroganza e l’arrivismo. In questo senso, il ruolo della famiglia è fondamentale ma va di passo a quello degli allenatori e delle società sportive in generale”.
Il talento non è tutto, si spiega a più riprese nel libro: si può puntare in alto anche senza grosse doti?
“Prima del talento ci sono tanti altri aspetti che servono a incanalarlo, a farlo esprimere: il lavoro, l’impegno, l’etica. Senza queste caratteristiche, quel dono soprannaturale che è il talento diventa il più forte dei limiti. Purtroppo gli italiani sono un popolo superficiale. Un esempio? La mamma che dice all’insegnante che suo figlio non studia ma è comunque il più bravo della scuola. Ecco, noi viviamo nell’epoca del figlio fenomeno”.
Prima gli educatori, poi gli allenatori: solo così il calcio può formare davvero alla vita?
“Questa è una delle strade che indico nella mia biografia. Male che vada, anche se non sfonderanno nel calcio, i ragazzi diventeranno persone migliori. Il che conta anche e soprattutto per la professione calcistica. Io credo che chi è limitato, lo è in tutto: calcio o non calcio”.
Il merito è un altro dei concetti a lei cari: come si collega all’etica?
“In Italia si pensa che furbizia, conoscenze e arte di arrangiarsi siano più importanti del merito: una confusione totale. Quando guardo una partita, non valuto la vittoria ma come è stata ottenuta: che valori ha espresso, quale gioco c’è dietro. Il gioco è tutto: come il bastone per l’anziano, come la trama per un libro. La conoscenza viene sempre prima: aiuta all’apprendimento, sviluppa sentimenti nobili, costruisce una coscienza collettiva. Questa, per me, è l’etica di gruppo: significa non tradire chi mi ha fatto giocare, i miei compagni, la mia famiglia”.
Un anno fa ha lasciato l’ultimo incarico: oggi si dedica alle nipoti?
“In realtà lavoro sempre ma non avendo più un ruolo di responsabilità, posso stare anche con le bambine. Prima ci riuscivo poco: sono uno che vuole fare sempre le cose al massimo e se mi manca il tempo, mi riescono male. L’unico problema è che le energie sono sempre meno”.
Fa anche il modesto?
“Mai perdere l’umiltà. Alle undici e mezza di sera, dopo una storica vittoria con il Milan, Ancelotti e Baresi mi dissero ‘mister, siamo i più bravi del mondo’. Io gli risposi che sì, lo saremmo stati fino a mezzanotte”.

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