Ma è proprio vero che gli adolescenti passano tutto il tempo connessi? E che non riconoscono più gli adulti, genitori in primis, come figure di riferimento? I social possono avere un ruolo nel facilitare il dialogo tra vecchie e nuove generazioni? Si è posta molte domande la ricerca “La qualità delle relazioni sociali in adolescenza” che la Caritas diocesana di Faenza-Modigliana ha commissionato al Cescom del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna. L’indagine, che ha coinvolto un migliaio di ragazzi e ragazze tra i tredici e i diciannove anni e circa cinquecento adulti tra genitori, catechisti, insegnanti e operatori dei servizi nei territori di Faenza, Modigliana, Brisighella, Bagnacavallo e Sant’Agata sul Santerno, verrà presentata venerdì 4 settembre alle 9 nella sala San Carlo di Faenza (piazza XI febbraio 4). A parlare sarà Valentina Marchesi, autrice della raccolta e dell’elaborazione dei dati sotto il coordinamento di Cinzia Albanesi che ci ha anticipato qualche risultato.
Professoressa, social network, smartphone e tablet sono davvero il male assoluto per gli adolescenti?
“Gli adulti li demonizzano molto e ne hanno paura. I ragazzi, invece, ne intravedono tutte le potenzialità positive, anche rispetto al dialogo con i grandi. Dalla ricerca emerge un dato interessante: mentre gli adulti tendono a pensare che gli adolescenti passino il loro tempo prevalentemente in attività on-line, reggono ancora le attività sportive, l’aggregazione nei parchi e nelle piazze. E la casa è un posto dove ci si incontra ancora molto, forse più di prima: una dimensione privata che, tramite la comunità virtuale, ha un’apertura sul mondo incredibile”.
Da Facebook a WhatsApp: i giovani cosa comunicano agli adulti attraverso questi nuovi strumenti?
“Per loro è un canale abituale: lo usano per negoziare le regole con i genitori ma anche per comunicare loro esperienze e sentimenti. A livello di pratica, agli adulti converrebbe modificare lo sguardo rispetto alle tecnologie: cambierebbe forse anche la percezione che hanno dei loro figli e studenti”.
Nel mondo degli adulti chi sono i più critici verso i giovani?
“Gli insegnanti. Sono loro ad avere la visione più severa e preoccupata. Nella quotidianità sono messi alla prova e si sentono sfidati di continuo da quelli che considerano atti di prepotenza e prevaricazione. Il loro sguardo lo abbiamo definito ‘provato'”.
Oggi il tema del bullismo è molto trattato: è un fenomeno presente anche sul territorio faentino?
“Non lo abbiamo indagato nello specifico, perché per parlare di bullismo ci vuole una reiterazione nel tempo. Abbiamo però chiesto alle persone che hanno compilato i questionari se osservano atti di bullismo e con quale frequenza, se reagiscono, se li hanno subiti. I dati sono in linea con la ricerca regionale sugli stili di vita online e offline di qualche anno fa: emerge come le prepotenze più diffuse riguardino l’aspetto fisico, l’orientamento omosessuale, i ragazzi di origine straniera e il fatto, più in generale, di non corrispondere a determinati canoni e criteri, non solo dal punto di vista estetico. Sono tendenze da tenere sott’occhio”.
In generale l’adolescente esce valorizzato o bistrattato dalla vostra ricerca?
“Difficile fare una valutazione univoca. Sicuramente la percezione che i ragazzi hanno di se stessi è migliore di quella che hanno gli adulti di loro. Ed è anche stata sfatata l’idea che i giovani non vedano nei grandi figure per l’educazione e la crescita: nel quotidiano, o quando hanno un problema, si rivolgono ancora alla famiglia. Gli amici contano ma non sono al primi posto. Gli adulti non sono stati relegati in un angolo come spesso si crede”.
Qui il volantino dell’incontro di venerdì
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