Un grido d’allarme, un invito a bandire discriminazioni e ritorsioni a danno delle donne. Al Meeting nazionale dello sport femminile che Assist ha organizzato sabato a Roma sono emersi aneddoti agghiaccianti sulle condizioni che, molto spesso, vengono imposte alle atlete.
La Gazzetta dello Sport riporta la storia della pallanoutista Tania Di Mario, “obbligata” a rinunciare a un figlio per non perdere un ingaggio. E della cestista Lavinia Santucci, che in un contratto, tra le clausole di recesso, vide scritto “gravidanza” o “carcere”. La ravennate Manuela Benelli, storica pallavolista della Teodora di Ravenna e fondatrice della scuola per palleggiatori Volley Academy, ha raccontato con amarezza di aver firmato un contratto da allenatrice nel quale le si imponeva – letteralmente – di non infastidire le giocatrici. Una richiesta esplicita di evitare relazioni omosessuali, ha detto, che mai viene avanzata a un uomo.
Sul patibolo del convegno la legge 91 sul professionismo, che contempla solo gli uomini e solo quattro discipline: sport, calcio, ciclismo e basket. Una legge che anche Josefa Idem ha tentato di modificare. Al convegno chiaro è stato il suo riferimento alla vicenda fiscale di cui è stata protagonista.
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