Se ne sente parlare sempre più spesso. E il lotus birth, ora, entra anche negli ospedali romagnoli. Non in tutti e non allo stesso modo. Ma le mamme che, al momento del parto, non vogliono tagliare il cordone ombelicale lasciando invece la placenta collegata al bebè hanno sempre più spesso la possibilità di farlo.
Al “Morgagni-Pieantoni” di Forlì già da qualche anno le donne che lo desiderano firmano un consenso informato nel quale si assumono la responsabilità della placenta che si portano a casa, considerata di loro proprietà: “Dal 2012 a oggi – spiega il primario di Ostetricia e Gincologia Claudio Bertellini – abbiamo effettuato tre lotus. Le mamme che lo scelgono sono attratte in genere dagli effetti immunitari ed endocrini della metodica sui quali però non esistono ancora evidenze scientifiche. Pare anche che l’ombelico del bambino guarisca meglio, con meno rischi di infezioni”. Forlì ha adottato un vero e proprio protocollo al quale devono attenersi osteriche e medici quando la partoriente opta per il lotus: “Io non sono né a favore, né contro. Sono però per il rispetto dei diritti e dei desideri della donna. Se una mamma crede che il lotus sia la scelta migliore per lei e per il suo bambino, noi dobbiamo agevolarla in questo percorso. Chiaro, dobbiamo essere di fronte a un parto fisiologico senza controindicazioni particolari. Ma se non riscontriamo rischi, il nostro compito è fare in modo che il lotus venga praticato. Anche i nostr pediatri, dal canto loro, non si oppongono”.
Anche al “Bufalini” di Cesena e all’ospedale “Infermi” di Rimini il lotus è realtà mentre al “Santa Maria delle Croci” di Ravenna, pur in assenza di un vero protocollo, se l’ostetrica è preparata e la mamma lo chiede, non è escluso che il lotus venga fatto. Fabiola Collini ha partorito il primo gennaio 2015 proprio come avrebbe desiderato. Evitando, cioè, che alla sua bimba venisse reciso il cordone: “Avevo letto molto prima di arrivare al termine della gravidanza e miera sembrata interessante l’idea che mia figlia restasse il più a lungo possibile a contatto con le sue cellule staminali. In sala parto ho detto che avrei desiderato il lotus e l’ostetrica è stata disponibile. Il cordone è caduto dopo dieci giorni: all’inizio non è stato comodissimo maneggiare la bambina perché la placenta era stata messa dentro uno scolapasta, immersa nel sale grosso. Nella carrozzina entrava ma nell’ovetto no. In ogni caso lo rifarei, è davvero questione della prima settimana o poco più. Quando il cordone si è staccato ho fatto una buca in gardino e ho seppellito la placenta, l’idea di gettarla nella spazzatura non mi piaceva”.
L’ospedale “Santa Maria della Scaletta” di Imola, invece, ancora non si è attrezzato.
Qui Romagna Mamma aveva raccontato l’esperienza di Alessandra Martinelli, mamma di Carpi.
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