Alle nove e mezza di mattina, Martina dorme ancora: “Siamo stati fortunatissimi, è un angioletto: tranquilla, serena, allegra. Con lei possiamo andare ovunque”. Martina ha quasi 15 mesi ed è la figlia del motociclista ravennate Marco Melandri e della modella trentina Manuela Raffaetà. Trentatré anni lui e trentadue lei, la coppia convive dal 2009. Il 2015, se non fosse per la bambina, non sarebbe un anno da ricordare per Melandri: “Avrei dovuto correre in MotoGP con Aprilia ma non ci credevo a sufficienza. Al momento sono alla ricerca di una proposta interessante per il prossimo anno. Sto pensando di correre in macchina, ho voglia di cambiamenti. Per fortuna è arrivata Martina, altrimenti mi sarei davvero demoralizzato”.
Melandri, per ora, fa il papà a tempo pieno, così come la compagna è mamma full-time: “La vita cambia davvero con un figlio, le priorità sono altre, adesso viene Martina prima di tutto. Abbiamo una tata che ci dà una mano per qualche ora. Per il resto, sta sempre con noi. L’abbiamo portata al Mugello, a breve partiremo per la montagna: è una santa, a volte ti dimentichi di averla”.
Ma da papà, il campione di motociclista non aspira certo a un futuro in pista per la sua piccola: “Questo è uno sport maschile, spero davvero che Martina non sia attratta dalle moto. Mi piace l’idea che venga a vedermi correre, questo sì. Ma non deve avvicinarsi al motociclismo, questo è un obbligo”. Quando pensa al futuro di sua figlia, Melandri vorrebbe soltanto che imparasse le lingue: “Viaggiando molto mi sono reso conto di quanta elasticità mentale e di quante opportunità dà il fatto di conoscere più lingue straniere. Quanto allo sport, non pretendo certo che Martina ne stia alla larga: lo sport è una scuola di vita, ma magari preferirei scegliesse il tennis”.
E tra un pannolino e una passeggiata, Melandri alterna gli allenamenti in palestra e la bicicletta: “Il mio è uno sport nel quale nessuno ti impone di stare a certe regole e stili di vita. Devi fare da te, mantenendoti in forma e mangiando bene. Se tieni l’equilibrio, puoi anche continuare fino a quarant’anni. Dopo non mi immagino nulla: non so nemmeno che cosa fare adesso, figuriamoci dopo. Non mi do particolari tabelle d’allenamento ma avendo avuti molti infortuni ed essendo quindi stato costretto a fare molta riabilitazione, sono consapevole dell’importanza di fare esercizio e non eccedere con i vizi”. Una consapevolezza che Melandri ritiene utile anche sul tema del pericolo che il motociclismo per forza di cose incarna: “Io dico sempre che siamo come lo yogurt, abbiamo una scadenza. Va bene stare attenti al pericolo ma la paura non serve: nella vita bisogna cercare di fare quello che si ama“.
Lo dice con il fatalismo di chi ha perso la mamma all’età di quattro anni: “Stava malissimo quando mi chiese di vedermi sulla moto, che era la passione di mio padre. Era il 1986 e in quel momento nacque la passione che già covavo da quando ero nato. Dopo sono stati anni difficilissimi: mio padre faceva due lavori per mantenere me mia sorella Maura che ha tre anni in più di me e ha due bambini di nove e undici anni. Anche i miei quattro nonni, che per fortuna sono ancora tutti al mondo, hanno molto contribuito a crescerci”. Una storia che ha portato Melandri a credere che le cose importanti, anche nello sport, non siano quelle legate alla popolarità: “È un aspetto che non mi manca per niente. Ho solo nostalgia dell’andare in moto come vorrei”.
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