lavoro, computerC’è chi, al rientro dalla maternità, viene relegata in fondo al cortile a contare pallet, come ha riportato di recente la consigliera di parità della Regione Emilia-Romagna Rosa Maria Amorevole. Chi dichiara che si dimette perché vuole occuparsi dei propri bambini piccoli ma in realtà non ha altra soluzione. Chi potrebbe avere una chance in più se il marito si prendesse il congedo di paternità. Quello delle madri che si dimettono dopo la gravidanza o la nascita del figlio (ma anche, perché no, dei padri) è un fenomeno grave, non sempre rilevabile nelle sue sfaccettature e che le normative stanno cercando di arginare. Lo sa bene Anna Rita Tinti, la ricercatrice dell’Università di Bologna che si è occupata del sistema di convalida delle dimissioni all’interno di una indagine più ampia sulla legalità nel mondo del lavoro.
Professoressa, spesso si parla di dimissioni in bianco riguardo le lavoratrici mamme: vogliamo spiegare di che cosa si tratta?
“Purtroppo si tratta ancora di una prassi diffusa che giudico vergognosa e ricattatoria: al momento dell’assunzione di un uomo o di una donna, il datore di lavoro fa firmare al lavoratore o alla lavoratrice un foglio bianco e senza data insieme a un foglio con una dichiarazione di dimissioni. Documenti che vengono messi in un cassetto e tirati fuori quando l’azienda ha bisogno di sbarazzarsi dei propri dipendenti. Un fenomeno non quantificabile e che non riguarda solo le donne: è una pratica illecita usata anche con altre persone a rischio, come gli immigrati. Chiaro che, con le neomamme, assume un significato forte: serve infatti ai datori di lavoro per aggirare il divieto di licenziare la lavoratrice dal momento in cui comunica la gravidanza fino al compimento del primo anno di vita del bambino”.
Il fatto i padri e le madri debbano presentarsi davanti alle direzioni territoriali del lavoro per la convalida delle dimissioni risponde a una logica di prevenzione?
“Dal 2012 l’obbligo è stato esteso fino al compimento del terzo anno di vita del figlio. Questo serve non solo a rivelare un eventuale abuso commesso dal datore di lavoro ma anche a dare ai papà e alle mamme tutte le informazioni sui loro diritti di conciliazione permessi, congedi anche su base oraria, part-time. Oggi i diritti in questione sono stati resi più flessibili ma spesso non sono conosciuti. La convalida serve anche a mettere in contatto le madri dimissionarie con le consigliere di parità. Insomma, è una normativa che non stana solo le dimissioni in bianco ma mette le lavoratrici e i lavoratori nelle condizioni di conoscere quello che loro spetta e magari evitare di perdere il lavoro”.
In quali settori le mamme, entro i tre anni di vita dei figli, si dimettono più spesso?
“Nei servizi e nel commercio, prima di tutto. E poi nell’industria. I motivi sono semplici: sono ambiti con una percentuale consistente di lavoro femminile. E sono settori nei quali pullulano le aziende piccole o molto piccole, dove è più difficile che vengano concesse soluzioni per la flessibilità e quindi per la conciliazione”.
Che dimensioni ha, in Emilia-Romagna, il fenomeno delle dimissioni dei neo-genitori?
“Stando ai dati del ministero del Lavoro, in regione nel 2013 si sono dimessi 2.093 madri e 505 padri. La maggior parte di loro dichiara che le dimissioni sono avvenute per incompatibilità tra esigenze lavorative e familiari, come il mancato accoglimento al nido dei figli, l’assenza dei nonni o l’incidenza dei costi del nido o della baby sitter sul bilancio. Al secondo posto c’è il fatto di volersi occupare personalmente dei figli, ragione che spesso cela imposizioni varie, dal marito che rifiuta di prendere il congedo alla mancata concessione del part-time, cosa che viene ammessa al terzo posto della classifica. Al quarto c’è invece un generico passaggio ad altre aziende: in questo caso è difficile sapere se le mamme e i papà passano da una situazione di lavoro regolare a una situazione di lavoro nero”.
Si può fare qualcosa di più per tutelare il lavoro de genitori?
“All’incirca dal marzo prossimo, quando un lavoratore o una lavoratrice vorrà dimettersi, dovrà scaricare un modulo dal sito del Ministero e compilarlo, senza poter dunque sfuggire alla data certa. Da quel momento avrà sette giorni per ripensarci. Questo servirà a contrastare ancora di più la piaga delle dimissioni in bianco, anche oltre i tre anni di vita dei figli. Prima, si presume che l’obbligo di convalida delle dimissioni sia sufficiente e agisca da deterrente sul datore di lavoro”.
C’è buco nero in questo sistema?
“C’è il grande punto interrogativo rispetto all’effettiva sensibilità dei funzionari delle direzioni territoriali del lavoro. Ne ho incontrato uno, in Romagna, particolarmente attento. Così come in altri uffici mi hanno detto che, quando arriva una mamma dimissionaria, la prassi è farla interloquire con funzionarie donne. Ma non è la regola. La speranza è che le normative non siano gestite in maniera piattamente burocratica”.