stranieri, bimbo stranieroMediatori culturali: chi saranno mai? Eppure, tra i banchi di scuola, ci sono eccome. E il loro lavoro è quanto mai fondamentale per l’integrazione degli alunni di origine straniera. Ne è convinta Francesca Mezzio, giovane educatrice sociale di Ravenna, che ha scritto un’indagine proprio sul tema, intervistando alcune mediatrici che lavorano per l’associazione Terra Mia. “L’evoluzione della mediazione nel tempo: la scuola quale ponte fra culture e luogo d’integrazione” mette in luce un fatto difficilmente controvertibile: che i mediatori non bastano, perché la scuola deve fare la sua parte.
Francesca, dei mediatori linguistico-culturali si parla molto di rado. E invece?
“Invece il loro lavoro è preziosissimo. Pensiamo a un bimbo che non parla una parola d’italiano e che all’improvviso viene inserito in una classe dove non capisce né gli insegnanti, né i compagni. Si trova smarrito, isolato. Il compito del mediatore che lo affianca è fare da collegamento tra il contesto culturale nuovo e quello di appartenenza. Un compito difficile ma imprescindibile. Peccato che i mediatori, forse perché sono figure professionali intermedie, vengano poco valutati nell’immaginario collettivo. Non esiste certo un albo che li identifica, forse anche questo rende più difficile il loro riconoscimento”.
Nella ricerca hai indagato anche le motivazioni che spingono a scegliere questo mestiere: ha trovato dei punti in comune?
“La storia personale di migrazione incide sempre molto. In genere i mediatori apprezzano il fatto di poter dare una mano a bambini che vivono le difficoltà di inserimento che loro stessi hanno vissuto e sperimentato sulla propria pelle”.
I mediatori non bastano per una reale integrazione: perché?
“Come mi ha spiegato una delle intervistate, a volte la scuola si aspetta che i mediatori facciano miracoli, abbiano dei poteri magici e riescano a insegnare l’italiano agli alunni stranieri in fretta. Non è così: per un intervento di mediazione efficace, tutti i soggetti che ruotano intorno alla vita del bambino devono partecipare. Io credo che la scuola abbia delle grandi potenzialità in questo senso, che sia la vera attrice della costruzione del ponte, soprattutto perché può e deve coinvolgere, nel percorso, la famiglia del bambino”.
Il rischio di un’auto-ghettizzazione delle famiglie esiste realmente?
“Sì, capita che le famiglie degli alunni stranieri facciano comunella tra loro per rassicurarsi, succede anche che si mettano contro il sistema-scuola. Ecco perché dico che il mediatore può fare molto, ma non tutto: è la scuola nel suo insieme a dover tirare fuori le proprie risorse e capacità per raggiungere una vera integrazione. Una parola spesso abusata e sopravvalutata”.