ritiIl gioco dell’osso del pollo per indovinare il sesso del nascituro. Il divieto di tagliare le unghie e i capelli al bambino prima dell’anno di vita. O quello, imposto alla donna, di scavalcare corde e briglie durante la gestazione per evitare un parto difficile. Senza contare le voglie, le pratiche abortive a suon di prezzemolo, le storie su come nascono i bambini e la forma della pancia. Lo scrittore Eraldo Baldini ha ricostruito quel pezzo di cultura ottocentesca che ruotava intorno al parto nel libro “I riti del nascere in Romagna. Gravidanza, parto e battesimo in una cultura popolare” (Il Ponte Vecchio). Un libro in cui si sorride molto e allo stesso ci si interroga, mentre ci si cala in una società al netto della scienza che profuma di stranezze quanto di profondità.
Eraldo, nel fare le ricerche per il suo saggio, ha incontrato riti e usanze che le hanno ricordato anche la sua, di infanzia?
“A dire il vero no. Credo che la seconda guerra mondiale sia stato il grande spartiacque nel segnare l’avvento di una nuova cultura. Io stesso, che sono del 1952, sono nato in ospedale. Chiaro che, quando ero bambino, negli anziani una certa mentalità in linea con ciò che racconto era ancora presente”.
Nel saggio narra diversi rituali all’apparenza discriminatori nei confronti della donna: come favorire un concepimento maschile, per esempio. In realtà come era considerata la donna a quei tempi?
“Credo ci sia stato un equivoco di base. Quella che appare come una discriminazione della donna, in realtà era qualcos’altro: la donna aveva un ruolo importante e delicato che la caricava di rischi e responsabilità dai quali un uomo sarebbe rifuggito. La donna era la guardiana della soglia, solo lei era presente sulla scena del parto e su quella della morte. Situazioni che, ovviamente, la esponevano a periodi di impurità e agitazione. In questo, però, le veniva riconosciuta un’ineguagliabile potenza”.
Qual è stato l’elemento più sconvolgente che ha scoperto durante le ricerche?
“Diversi elementi mi hanno dato conferma del fatto che le culture popolari raggiungessero livelli di profondità e attenzione oggi impensabili. Pensiamo solamente all’usanza di seppellire i bambini nati morti nella parte di terreno sottostante la grondaia di casa, come una zona a metà, una terra di nessuno. Dietro un gesto del genere, c’è un’elaborazione semiotica fortissima”.

Eraldo Baldini
Eraldo Baldini

Credi che parte di quella cultura sia rimasta in vigore?
“Credo sia rimasta solo a livello di homo ludens, ci si gioca e ci si scherza senza sapere nemmeno l’origine di quello che si dice. La cultura che descrivo era un sistema organico e coerente, funzionale a una società pre-scientifica”.
C’è qualcosa che, invece, è del tutto scomparso?
“L’idea della morte, l’approccio alla morte come momento naturale del ciclo della vita. Oggi con la morte si gioca a nascondino: la si censura come dimensione mentale ma anche pratica. Oggi si muore soli, spesso in ospedale, senza una veglia funebre che consente alla famiglia di riunirsi. Oggi si fa un passaggio veloce alla camera mortuaria, la morte è associata al nulla totale, alla fine completa, all’angoscia”.
Che cosa recupererebbe, se si potesse, di quella cultura?
“La reverenza sacrale verso la vita, la morte, la natura, l’universo. Anche se frutto di scarsa conoscenza, allora c’era rispetto verso tutto questo. Oggi lo abbiamo del tutto perso. Un peccato, perché era un prezioso alleato per saper affrontare le cose che ci capitano”.