Un embrione in provetta sviluppato per 13 giorni. E’ questo l’ultimo successo della biologia ma non si tratta di un esperimento destinato a rimanere nei laboratori e alla gloria di qualche pubblicazione accademica. La novità assoluta, che ha fatto luce su un processo fondamentale della vita fino ad ora poco conosciuto, quello dell’impianto nell’utero, è destinata ad avere riflessi sulla vita pratica ma, soprattuto, sulla salute di tutti noi.
Lo studio, pubblicato sulle riviste Nature e Nature Cell Biology da due gruppi di ricerca (Rockefeller University di New York e Cambridge) che hanno lavorato in modo indipendente, oltre ad infrangere la barriera dei sette giorni, finora considerato invalicabile per lo sviluppo dell’embrione, apre nuovi sviluppi nella ricerca sulle cellule staminali e potrebbe aiutare a comprendere meglio le cause di mancato impianto dell’embrione: in questi casi l’embrione non aderisce alle pareti dell’utero e la gravidanza non avviene. Si tratta della prima causa di fallimento nelle gravidanze frutto della fecondazione assistita, campo che dunque diventa di interesse primario. Gli scienziati ritengono che la scoperta possa facilitare anche la ricerca del perché alcune malattie, come l’autismo e la sindrome alcolica fetale (la patologia che si riferisce ai danni causati al feto dal consumo di alcol da parte della madre durante la gravidanza), si facciano strada già nelle prime fasi della vita.
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