Ogni volta che le arriva all’orecchio una nuova notizia di maltrattamenti nei nidi o nelle scuole dell’infanzia, Paola (nome di fantasia per la tutela della privacy delle figlie) rivive per un attimo l’incubo iniziato, per la sua famiglia, nel 2009. E anche dopo aver saputo dell’arresto della maestra della scuola dell’infanzia “Il Delfino” di Rimini, ha evitato di guardare il video in cui si vedono i bambini strattonati e insultati.
Paola è infatti la mamma di una bambina di otto anni che frequentava il nido Mazzanti di Conselice, in provincia di Ravenna, all’epoca dei maltrattamenti perpetuati nei confronti dei piccoli da parte di due maestre poi condannate in primo grado. Un caso che fece notizia a livello nazionale e che, per chi lo ha vissuto sulla propria pelle, è impossibile lasciarsi alle spalle: “Mia figlia ha ancora in mente tutto. Fino a poco tempo fa ne parlava di frequente. Certe cose non si dimenticano mai. Il percorso per ridimensionare i danni è stato e sarà ancora lungo. Resta il senso di colpa per aver gestito nella maniera sbagliata alcuni segnali evidenti che mostrava con costanza”.
La bimba, infatti, oltre a vomitare aveva smesso di dormire e faceva scenate molto estreme, come buttarsi all’indietro all’improvviso o protestare in maniera esagerata per cambiarsi il pannolino. Non solo: “Quando giocava con le bambole, le picchiava e le rinchiudeva nel ripostiglio”. La mamma, scossa e preoccupata, fidandosi delle educatrici della bambina ne aveva parlato proprio con loro: “Erano il mio punto di riferimento e non sapendo, in diversi momenti, come gestire mia figlia, chiedevo consiglio a loro, senza prendere in considerazione l’idea di rivolgermi a un esperto esterno al nido”.
L’altro errore, secondo la mamma, fu quello di non condividere ansie e paure con gli altri genitori: “Non eravamo uniti, ognuno portava e riprendeva suo figlio senza fare gruppo. Se ci fossimo confrontati, avremmo scoperto molto prima che i sintomi dei nostri bambini erano gli stessi. Mia figlia, in particolare, sembrava avercela con me. Solo più tardi abbiamo capito che rivolgeva la sia rabbia e il suo disagio verso la figura femminile, che identificava con le maestre”.
Oggi che sono passati sette anni, nulla è ancora facile: “Il genitore che si trova in una situazione come la nostra ha l’istinto di farsi giustizia da sé ma sa che deve trasmettere al proprio bambino o alla propria bambina un senso di giustizia sano. Io vorrei vedere le due maestre di mia figlia in galera ma devo rimanere tranquilla anche per continuare a essere un modello positivo ai suoi occhi. Ho anche un’altra bambina in età da nido, che frequenta il ‘Mazzanti’ chiaramente in una situazione del tutto diversa e rassicurante. Ogni volta che varco quella porta, devo fare i conti con i miei fantasmi. Ma non li posso dare a vedere alle mie bambine”.
Senza l’assistenza psicologica e legale dell’associazione “La via dei colori” nata dopo il caso del nido Cip e Ciop di Pistoia, però, la donna è sicurissima che non ce l’avrebbe mai fatta: “Devo la mia sopravvivenza a loro”.
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