Hai appena iniziato a spingere l’altalena e la mamma al tuo fianco ti saluta con un ciao rotondo.
Naturalmente non l’hai riconosciuta, quindi lei prova a farti tornare alla memoria un laboratorio sulla cartapesta di tre anni prima e snocciola un paio di nomi di amici comuni.
Il tuo “Sì, ciao!” è finto come il sorriso dei sofficini Findus, ma lo spendi in nome della buona educazione.
E poi provi a darti credibilità con un circostanziale “quindi anche tu hai due figli”.
Sì, Matteo e Franco.
Sono gemelli?
No, sono fratelli. Hanno tredici mesi di differenza.
Il secondo è capitato, scommetto.
In realtà il secondo l’abbiamo cercato, il primo è capitato.
Aggrotti la fronte, mentre la spinta all’altalena si ammoscia, scatenando le lamentele vibranti del nano.
Ho perso il lavoro quando sono rimasta incinta la prima volta, quindi intanto che c’eravamo abbiamo impacchettato il secondo.
E sei ancora a casa?
No per fortuna, perché con un bambino di tre e uno di quattro sarebbe un inferno.
Annuisci pensando alla fatica che fai per far testa al tuo di due per qualche ora la sera e nei week end.
E adesso di cosa ti occupi?
Faccio eic-ar.
Roba strana con Internet?
No, mi occupo di Human Resource. Ricerca e gestione del personale.
In quel momento realizzi che non ti assumerebbe mai ma per scrupolo chiedi per quale azienda.
Per una banca ma ancora per poco.
Riperdi il lavoro?
No, una multinazionale mi fatto un’offerta irrinunciabile. A Milano.
Vi trasferite tutti?
No, solo io. Lui prende il part time per stare con i bambini e io torno per il week end.
Siete bravi, non so quanti uomini avrebbero accettato.
Non aveva scelta.
Ridete.
Sei un’eroina, allora.
No, spero solo di non dovere iniziare a usarla.
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