troiaLa parola “troia” non è sempre stata un epiteto “violento e offensivo”. Troia è stata soprattutto una città, quella che cade rovinosamente nella prima guerra della storia, narrata nell’Iliade. Mirella Santamato, scrittrice impegnata nella lotta alla violenza contro le donne (la sua biografia l’abbiamo raccontata qui), alle sfide è abituata: per un problema fisico non poteva, secondo i medici, camminare. E invece, oltre a farlo, ha messo pure al mondo due figli. Questa volta, la sua sfida, è stata un’altra: studiare a menadito il poema omerico, secondo lei letto troppo superficialmente, e scoprire che l’umanità è stata capace di creare società molto migliori e molto più pacifiche della nostra, che l’uomo non è sempre stato violento ma anche in grado di amare, che la donna non è sempre stata oggetto di sopraffazione. Lo ha fatto nel libro “Quando Troia era solo una città” (Macro Librarsi) che presenta domani sera alle 21 nel giardino di via Ramona 9 a Faenza e venerdì 12 agosto alla stessa ora al bagno Luana di Marina di Ravenna.

Un libro dal quale lancia una sfida agli insegnanti, visto che il tema dell’educazione di genere non è mai stato così attuale: “Credo che l’Iliade, agli studenti e alle studentesse, andrebbe proposto in un modo nuovo. Non soffermandosi sempre sui soliti canti riguardanti la guerra ma andando a studiare anche come la donna, prima del conflitto, venisse esaltata a 360 gradi. Come non sia affatto vero che quello della prostituta sia il mestiere più antico del mondo, perché la prostituzione nasce con il patriarcato, quando la donna inizia a essere vista come qualcosa che si può vendere e comprare”.

mirella santamato
Mirella Santamato

Santamato si riallaccia ai frequenti femminicidi che riempiono le pagine dei giornali: “C’è sempre un pensiero dietro. C’è una cultura che ci portiamo dietro da millenni. C’è la rabbia maschile di non riuscire a capire la vita, che diventa spinta alla morte. Nella società che ho studiato e che esisteva prima della guerra di Troia, la donna partoriva su un altare e la comunità partecipava intera. Celebrando il parto e la donna, si santificava di fatto la vita, a discapito della guerra, della violenza, della morte”.

Con la fine di Ettore, nell’Iliade, secondo Santamato muore di fatto l’uomo capace di amare. Così come avviene con Paride, che “sapeva fare l’amore, non la guerra, e per questo viene deriso”. Come quando, ancora oggi, si dice che gli uomini non piangono.