Essere gay e desiderare un figlio. Gabardini: “Il coming out che consiglio a tutti”

Centinaia di migliaia di visualizzazioni su Youtube. Proiezioni nelle scuole. Click che continuano nonostante siano passati quasi tre anni. Carlo Gabardini, attore e autore (era lui l’Olmo di cameracafé), non si sarebbe aspettato certo un successo simile quando ha lanciato in rete il video “La marmellata e la Nutella (ci s’innamora di chi ci s’innamora)” per raccontare la normalità di essere omosessuali. La stessa normalità che divide gli esseri umani tra quelli che sul pane spalmano più volentieri la cioccolata e quelli che prediligono le confetture. Un video di cui racconta anche nel libro “Fossi in te io insisterei. Lettera a mio padre sulla vita ancora da vivere” (Mondadori) che presenterà oggi alle 17 alla Barcaccia di San Domenico, a Forlì, nell’ambito della Settimana del Buon Vivere. Una lunga lettera al papà scomparso nel 1999 al quale lo scrittore dedica un coming out in senso lato, di cui la rilevazione della propria omosessualità è solo un tassello.

Carlo Gabardini
Carlo Gabardini

Carlo, con il video e il libro la sua esposizione è stata massima: ha pagato qualche prezzo, in termini di privacy?
“No, anche se capisco che da fuori posso essere sembrato quasi eccessivo. Lo chiedo anche a mio padre nel libro: ‘Sono diventato un militante?’. La risposta è no perché ciò di cui parlo, in fin dei conti, è la possibilità di essere felici, di sposarsi con la persona che si ama, di avere un figlio. Questioni grandi, di cui forse la gente è anche stufa di sentir discutere. Io stesso, se una vera parità di diritti tra omosessuali e eterosessuali in Italia fosse stata raggiunta, mi occuperei volentieri d’altro. Visto che non è così, è doveroso, non certo divertente, trattarne”.
Nel libro, oltre a un amore profondissimo per suo padre, emerge anche la sua voglia di paternità. C’è un filo che tiene uniti questi due sentimenti?
“Assolutamente sì. Per dirla alla freudiana, con il libro ho ucciso mio padre per pensare di diventarlo io, a mia volta. Mi piace ricordare che c’è un senso di continuità grandissimo tra la mia famiglia d’origine, cosiddetta tradizionale, e quella che posso costituire io con il mio compagno. E questo va detto soprattutto per ribadire che gli omosessuali nascono da genitori etero, per lo più. Mentre scrivevo a mio padre ho realizzato che anche io vorrei un figlio, me lo sono detto durante la narrazione e l’emozione di riconoscere quel desiderio è stata fortissima”.
Che cosa la fa più arrabbiare nel dibattito sui genitori omosessuali?
“Che non ci si ferma mai a pensare. D’istinto, in una stanza buia, forse anche io avrei sposato l’idea che, per crescere, un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma. Ma poi rifletti, ti guardi intorno. E capisci che i bambini non scelgono mai i propri genitori. E che, per esempio, per crescere, un bambino ha bisogno anche di una mamma e di un papà che non muoiano o non si ammalino entro il suo 18esimo anno d’età. Ma non è stata certo approvata una legge in questo senso. Allora dico che la domanda di partenza è sbagliata”.
Rispetto a diciassette anni fa, quando ha perso suo padre, il clima è cambiato?
“Lo è, certo, non si può dire che non sia così. In questi ultimi anni c’è stato un coming out di qualcuno di noto ogni settimana. La legge sulle unioni civili, per quanto vergognosamente dilapidata della stepchild adoption, è comunque un passaggio storico per un paese come l’Italia: fino a quattro mesi gli omosessuali, per la legge, non esistevano proprio. E anche il costume è cambiato se in una programma trasmesso alle tre del pomeriggio dalla tv generalista, che vedono le nostre nonne, arriva il tronista gay”.
B_142RhW8AE4Tj4Come si immagina sarebbe stato un coming out con suo padre presente, anziché assente?
“Mi chiedo spesso come avrebbe reagito e forse, la risposta che più si avvicina al vero, è quella datami da mia madre: sarebbe stato preoccupato. Non per la mia omosessualità in sé, quanto per la paura del mondo intorno. Chi assiste a un coming out, poi, non è in una posizione facile: la relazione è plurale e quando uno dei due interlocutori rivela su se stesso cose importantissime che prima non aveva mai detto, la relazione esce dall’asse e deve trovare nuovi equilibri. Mio padre sarebbe stato sicuramente impaurito all’idea che nella vita, per me, la strada sarebbe stata meno spianata che per altri. Mi dispiace non essermi raccontato, così come ho fatto scrivendogli, quando era ancora vivo: non avrei censurato nulla di quello che ho messo nero su bianco”.
Il suo, alla fine, è un coming out a 360 gradi sulla vita, consigliabile a tutti noi. In che senso?
“Dire ad alta voce chi siamo, cosa vogliamo e cosa amiamo fa bene. Bisognerebbe farlo più di una volta nel corso della vita. Certo, noi omosessuali forse siamo più pronti al fatto che, prima o poi, ci toccherà farlo, visto che fin da bambini sappiamo che molto probabilmente deluderemo le aspettative dei nostri genitori”.
Il libro continua a girare, il video non smette di essere cliccato: di chi o che cosa è merito?
“Credo che il fatto di portarli nelle scuole sia centrale, alla fine il cambiamento si gioca tutto lì. La chiave vincente del video è stata forse la gioia che ci ho messo. Prima, l’omosessualità, veniva spesso comunicata come una dimensione problematica e difficile. Io l’ho raccontata con il sorriso, giocando e dicendo che essere gay è bello al pari di non esserlo”.

 

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