nonni“Uffa, oggi mio fratello è a casa”.
“Va beh, dai. Alla fine è venerdì”.

Il mio astio per i “ponti”, tipo quello che oggi osservano nidi e scuole dell’infanzia comunali a Ravenna, è condiviso anche da mia figlia grande. Per motivi diversi, ovvio. Lei avrebbe preferito dormire fino alle dieci, come ha fatto ieri e come farà domani, e non doversi alzare mentre il fratello ancora ronfava. E io non capisco mai perché la conciliazione, di cui scrivo spesso, si inceppi davanti a un concetto elementare: se al lavoro il ponte non c’è, perché ci dev’essere a scuola? Per meglio dire: chi si occupa di quei bambini “sul ponte”?

La risposta è semplice: nella maggior parte dei casi i nonni, vero “welfare state”, come li definisce la giornalista Ilaria Iacoviello.

Anche nel mio caso, a dire il vero. Sebbene i nonni siano tutti lavoratori attivi, questa mattina il nonno si è organizzato per lavorare solo il pomeriggio e si è offerto di tenere il piccolo “in ferie”. Miracolo: perché di giocarsi un giorno di ferie il 9 dicembre, davvero, chissenefrega. 

Insomma, oggi va grassa. Non come a chi, i nonni, non li ha nemmeno il sabato sera. Come colei che porta il mio cognome, dicesi mia sorella. Oggi è sommersa dal lavoro ma l’unica nonna disponibile (avendo scelto di vivere in Spagna si è giocata un po di possibilità rispetto al welfare state) si è ammalata. E il figlio di due anni con chi sta? Ovvio, con lei. Che così vedrà accumularsi chili e chili di lavoro.

Mi chiedo se un giorno, da nonna, avrò voglia di fare questa vita, visto che ho sempre desiderato scapparmene a Creta, da pensionata, a svernare. Sarà naturale occuparmi a mia volta dei miei nipoti ammalati, a casa dall’asilo per il ponte o altre questioni?