Abbiamo scritto ieri della presa di posizione dei pediatri e neonatologi romagnoli rispetto al rischio che le donne corrono a partorire nei punti nascita “a bassi livelli di intensità”, in particolare quelli sotto i 500 parti all’anno. In Emilia-Romagna gli ospedali in questione, che in base alle direttive di sette anni fa andrebbero chiusi perché sotto la soglia di sicurezza, sono – stando ai dati 2016 – Castelnovo né Monti, Borgo Val di Taro, Mirandola, Scandiano, Pavullo nel Frignano, Cento e il punto nascita Del Delta. Quelli che oscillano tra i 500 e i mille parti l’anno – e che andrebbero quindi accorpati – sono Fidenza, Guastalla, Bentivoglio, Imola, Faenza e Lugo.

Secondo il documentato presentato all’assessorato regionale alla Sanità e alla commissione nascita, oltre che ai sindaci delle città coinvolte dal sogno della riorganizzazione, il vantaggio dei punti nascita ad alta intensità sono due: le équipe mediche con esperienza, soprattutto sul fronte dell’emergenza e l’organizzazione strutturale, requisiti fondamentali per non fare venire meno la qualità delle cure.

“Esiste un aumentato rischio di taglio cesareo se si partorisce nei centri più piccoli”, sostengono i medici citando i dati regionali del 2016, che sottolineano anche come negli ospedali minori si induca più frequentemente il parto prima del termine in caso di problematica materna o fetale. “Anche l’incidenza di rischiose emorragie nel postpartum – concludono i sanitari citando però uno studio californiano – è risultata tre volte maggiore nei piccoli ospedali rurali con meno di 600 parti per anno”.

In sintesi, per tornare a parlare del territorio regionale, “in un centro con 500 nati può capitare di rianimare un neonato due volte all’anno ma se ci sono almeno sei medici che ruotano in quella struttura capiterà di rianimarne uno ogni tre anni. Anche se la mortalità e l’asfissia alla nascita sono basse, ogni caso prevenibile è un caso di troppo”.