Potrei chiamarlo il lento ridimensionamento delle feste di compleanno. L’ho vissuto (o forse voluto) in prima persona nel passaggio da un figlio all’altro ma anche durante la crescita della prima. Quando ha compiuto un anno, non so che cavolo mi è preso: cinquanta invitati, due torte, mezzo bagno al mare dedicato alla sua festa. E lei, che nemmeno camminava, deve averci guardati come degli storditi. Poco a poco, le sue festicciole sono diventate sempre più piccole e morigerate fino a che, quando è stata realmente in grado di intendere e volere (cosa che fa tuttora che ha nove anni), ha preso a optare per un pomeriggio in piscina con quattro o cinque fedelissimi amici, sull’onda del principio “poca spesa, tanta resa”. Via gli inviti, via i genitori, via il buffet. Solo tuffi, una tortina, qualche pacchetto regalo. Arrivederci e grazie.
Il punto è di che questo “sgonfiamento” ha fatto una vittima: il mio secondo figlio, che ha compiuto da poco tre anni. Per lui non mi è mai balenata l’idea di organizzare una festa di compleanno. Per esorcizzare il senso di colpa che potrebbe venirmi negli ani a venire (ma non è mica detto, poi), non gli è mai stata negata una torta casalinga con candelina, anche solo per il gusto di scattare una foto ricordo.
Forse ho fatto un favore a me (poco sbattimento), forse ai genitori degli eventuali invitati, forse a mio figlio stesso. Perché poi, alla fine, ai compleanni i festeggiati si divertono?
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