I voti? Meglio di no? I giudizi? Neanche. Le lettere? Nemmeno. Il maestro ripudia i numeri e le parole e preferisce affidarsi ai colori. Tutto funziona come una specie di semaforo: il verde significa via libera, è tutto ok; il rosso che bisogna fermarsi per una riflessione sui propri errori. Lui si chiama Davide Tamagnini, ha 40 anni e insegna nella scuola primaria “don Ferrari” di Pombia, in provincia di Novara.
Il suo originale approccio didattico risale a quattro anni fa, quando è stato approvato dal collegio dei docenti dell’istituto. Da allora Tamagnini ha avuto una considerazione crescente ed ha pubblicato pure un libro dal titolo Si può fare. La scuola come ce la insegnano i bambini. Adesso la sua classe, quella che per prima ha sperimentato il metodo dei colori, sta per cominciare la quinta elementare. Il ciclo, dunque, si sta per concludere e fino ad ora questi ragazzini non hanno preso neanche un voto. Sulle pagelle consegnate alle famiglie ci sono, appunto, solo colori: verde se l’obiettivo è stato raggiunto, arancione se c’è ancora del lavoro da fare, rosso se restano delle difficoltà da risolvere. L’ammissione all’anno successivo è consacrata dalla formula “ti aspettiamo a braccia aperte”.
Non solo, nelle tabelle, oltre al consueto spazio per gli insegnanti, ce n’è anche uno per l’autovalutazione dei bambini e un altro per le considerazioni dei genitori. Tamagnini, quattro figli e un passato da chimico, spiega: “Ai bambini bisogna dare strumenti per capire come seguire meglio il percorso”. Ed ancora: “Si può facilitare il naturale sviluppo di ciascuno, si possono non usare libri, voti, compiti e schede, si può rompere quel sempiterno sodalizio che purtroppo lega l’apprendimento alla noia. Insomma si possono fare molte cose se, innanzitutto, si crede che sia importante farlo”. Nel suo libro aggiunge che “la scuola, sia implicitamente con una certa didattica, sia esplicitamente con i voti numerici, comunica che l’errore è una cosa da evitare, un passo falso da correggere, o meglio, da rimuovere velocemente (basti pensare all’assurda esigenza di avere dai bambini scritte perfettamente corrette durante la fase di apprendimento della scrittura, probabilmente per avere dei bei quaderni ordinati da mostrare a casa) senza dare tempo di riflettere sulle condizioni che lo hanno determinato. Una situazione di imbarazzo sociale dal potere ansiogeno. L’equazione scolastica che va per la maggiore è: un errore, un voto in meno“.
Quanto ai modelli che lo hanno ispirato, il maestro piemontese cita Maria Montessori, il pedagogista brasiliano Paulo Freire (il cosiddetto “maestro degli oppressi”) e la sociologa riminese Marianella Sclavi.
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