Talco killer: Johnson & Johnson ancora condannata

Lo scandalo del talco killer si sta espandendo. Le cause contro la Johnson & Johnson si stanno moltiplicando e, puntuali, arrivano salatissime sconfitte per la multinazionale americana del farmaco. Come informano i media statunitensi, una giuria di Los Angeles ha appena condannato la Johnson & Johnson a pagare 417 milioni di dollari a una donna, Eva Echeverria, che ha usato per anni il talco cancerogeno e adesso ha un tumore alle ovaie. Lo ha fatto da quando aveva 11 anni fino allo scorso anno, convinta dalla pubblicità del prodotto che dice: “Una spruzzata al giorno toglie l’odore di torno“.

Non si tratta di un caso isolato: anzi. Nei primi mesi del 2016 un tribunale aveva ordinato alla J & J, un gigante fondato nel 1886 con un fatturato annuo che supera i 60 miliardi di dollari e un utile netto che si aggira sui 10, di pagare 55 milioni di dollari a Gloria Ristesund, 62enne del South Dakota: il giudice si era convinto che l’uso per decenni di prodotti a base di talco aveva portato la signora a sviluppare il cancro alle ovaie. Qualche mese prima la Johnson & Johnson era stata condannata a pagare altri 72 milioni di dollari per la morte di Jackie Fox, deceduta sempre in seguito ad un tumore alle ovaie. La donna aveva fatto grande uso di talco – in particolare dei prodotti Baby Powder e Shower to Shower – per 35 anni e un giudice del tribunale di St. Louis aveva decretato il nesso causale tra il decesso e questa abitudine. Non solo: secondo le accuse, il gruppo era al corrente dei rischi di cancro legati al prodotto e ha omesso di informare i consumatori, come sarebbe emerso anche da alcuni documenti interni dell’azienda presentati al processo.

Divisione vaccini della Johnson & Johnson

J&J, che ha annunciato ricorso sull’ultimo caso, fino ad ora ha perso quattro cause per il talco killer e ne ha vinta una: complessivamente l’ammontare dei risarcimenti è di oltre 300 milioni di dollari. E non è mica finita. Solo qualche mese fa, la stessa J&J ha rivelato ai propri azionisti di dover fronteggiare 4800 cause riguardanti il talco cancerogeno. L’azienda però minimizza. Si dice sicura che il talco, venduto specificamente per i bambini ma usato anche dagli adulti, non sia pericoloso soprattutto da quando tra i suoi componenti non compare più l’amianto (è stato eliminato negli anni ’70) e che le informazioni al consumatore siano chiare. “Siamo guidati dalla scienza che sostiene la sicurezza del Baby powder”, ha reso noto un portavoce citando studi su studi che dimostrerebbero l’innocuità del prodotto. Per ora però Davide sta abbattendo Golia.

La ‘mission’ della Janssen

C’è da fidarsi della J&J, dunque? L’azienda, naturalmente, è coinvolta in mille altri progetti e vende mille altri prodotti che non hanno dato problemi particolari. C’è da segnalare che il suo collutorio Listerine è considerato un classico caso di disease-mongering, termine creato nel 1992 dalla scrittrice e divulgatrice scientifica Lynn Payer nel suo libro: “Disease-mongers: come i dottori, le aziende farmaceutiche e le assicurazioni ti fanno sentire malato“. Il disease-mongering è appunto quella tecnica che “cerca di convincere persone in salute che sono ammalate o persone con qualche leggero problema di salute che stanno molto male”. Marketing, pratiche commerciali subdole, insomma. Da qui l’utilizzo di cure, farmaci, integratori e vaccini non strettamente necessari.

Una zona grigia che merita qualche approfondimento, considerata l’importanza della J&J, il suo volume di affari, le sue attività, la sua reputazione e affidabilità (nel 2005 un sondaggio la collocava al primo posto per gradimento tra i consumatori statunitensi). Qualche mese fa Johan Van Hoof, general manager di Janssen Vaccines and Prevention, il settore dei vaccini della J&J, ha spiegato al Sole 24 Ore: “La popolazione globale aumenta e invecchia e aumentando la domanda di cure, l’enfasi sulle terapie piuttosto che sulla prevenzione diventerà sempre più insostenibile. Quindi il nostro obiettivo è intervenire prima che la malattia si manifesti, attraverso i vaccini. Mirando alle fasce di popolazione più esposte, ovvero i bambini e gli anziani“.

Intervenire prima, dunque. La domanda, alla luce della pratica del disease-mongering, è: quando ce n’è realmente bisogno? Quanti di questi interventi sono reali emergenze sanitarie e quante invece più che altro portano benefici al già capiente portafoglio della multinazionale statunitense? Il quotidiano di Confindustria non ha dubbi, con i suoi vaccini la J&J salva vite umane: “Rispondere alle emergenze sanitarie ancora prive di soluzioni puntando sulla carta dei vaccini innovativi – scrive l’articolista -. Contro l’influenza, con un vaccino universale che entro dieci anni potrebbe coprire tutte le mutazioni genetiche del virus; contro importanti infezioni respiratorie che colpiscono soprattutto bambini e over 65, come il virus respiratorio sinciziale (che infetta 64 milioni di persone causando 3,4 mln di ricoveri), contro l’Hiv e contro l’Ebola, che in Africa ha contagiato oltre 28mila persone uccidendone più di 11mila”. Ben venga dunque l’investimento di 318 milioni di euro “al Leiden Bio Science Park, in Olanda, dove hanno sede i tre centri Janssen – Biologics, Prevention e Vaccines – che stanno conducendo 56 trial clinici”.

Si capisce quindi il tono trionfalistico dello stesso general manager olandese quando nel gennaio 2015 si è detto “orgoglioso” di annunciare che la Janssen (e quindi la Johnson & Johnson) assieme alla Vaccine Alliance, “organizzazione che migliora l’accesso a nuovi e non utilizzati vaccini per i bambini“, aveva preso il solenne impegno “di accogliere nuovi impegni per la sua missione di immunizzare i bambini nei paesi in via di sviluppo”. Le cifre? Mostruose: “Un totale di 7,5 miliardi di dollari, che permetterà ai paesi di vaccinare altri 300 milioni di bambini”.

Ed ancora: Janssen, che sul suo sito informa di essere attiva nel campo dei vaccini e della ricerca per debellare Hiv, epatiti virali, infezioni respiratorie, ebola, polio, dengue, nel dicembre 2015 ha reso noto “di aver stipulato un accordo di collaborazione e licenza con Bavarian Nordic, per combinare la tecnologia MVA-BN® di quest’ultima insieme a quella AdVac® di Janssen, col fine di sviluppare e commercializzare un vaccino eterologo prime-boost per il trattamento delle infezioni croniche da Papillomavirus umano (HPV), che possono provocare l’insorgenza di tumori”. Quelle ® fastidiose alla vista significano una cosa fondamentale: che le tecnologie sono coperte da brevetti. Perché va bene aiutare i bambini del terzo mondo ma una multinazionale non è esattamente un ente filantropico e fare business è nel suo Dna.

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