La gravidanza non era a rischio e solo pochi minuti prima del parto il battito del feto era regolare, con tutti i valori (compresi quelli della madre) sotto controllo. Invece la neonata, figlia di una coppia di Bertinoro, morì nel reparto di Ostetricia dell’ospedale di Faenza mentre la donna fu salvata grazie ad un intervento d’urgenza al quale aveva partecipato il primario. Quando la madre si era presentata in reparto, infatti, il tracciato era risultato regolare e il feto non in sofferenza. Solo in seguito a improvvise complicazioni, aveva fatto sapere l’Ausl, si era reso necessario un cesareo d’urgenza in seguito al quale la bimba era morta per arresto cardiaco. Per quella vicenda, verificatasi nel gennaio 2016, l’Ausl aprì un’indagine interna e sospese immediatamente il primario del reparto di ostetricia dell’ospedale di Faenza, un altro medico (una ginecologa) e un terzo dipendente della struttura (un’ostetrica). Al termine del procedimento la ginecologa che aveva eseguito il cesareo era stata licenziata mentre l’ostetrica trasferita.
Adesso il consigliere regionale di Forza Italia Galeazzo Bignami in un’interrogazione rende noto che la ginecologa “ha ottenuto giustizia dal giudice del lavoro che ha annullato il licenziamento condannando l’Ausl Romagna a pagarle un’indennità risarcitoria mensile fino al giorno della effettiva reintegrazione, oltre a una somma di migliaia di euro per spese di lite”. Bignami fa quindi una serie di domande alla dunque alla giunta regionale chiedendo “se ritenga che si tratti di meri errori o atti sinergici alla manovra in atto, tesa a delegittimare il reparto di Ostetricia (e l’intero ospedale) per fare così scendere i parti effettuati sotto i 500 l’anno e realizzare automaticamente l’obiettivo di eliminare il punto nascite, se la Regione intenda chiudere il punto nascita, chi sosterrà la ingenti spese risarcitorie e giudiziarie che perverranno sicuramente alla Asl di Romagna per la vicenda, a chi ascrivere la responsabilità e quali interventi porrà in essere al riguardo”.
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