Se avete figli che frequentano una scuola dell’infanzia comunale di Ravenna, vi sarete accorti del fatto che a casa saltano spesso fuori con qualche frase in inglese come “enjoy your meal!” o “put away toys!” ma anche in francese, spagnolo, persino in dialetto romagnolo. Merito di un progetto di plurilinguismo che va avanti dal 2014 (allora ne avevamo parlato qui) e che ha avuto come consulente Martin Dodman, docente della Libera Università di Bolzano. A Ravenna, in questi anni, Dodman è rimasto legato per seguire un progetto simile per conto della scuola paritaria San Vincenzo De’ Paoli, dove l’approccio plurilingue viene proposto fin dalla sezione primavera (24-36 mesi) con attività anche in spagnolo e russo.
Professore, alla scuola statale non si muove niente?
“Direi, abbastanza poco, per quanto riguarda la scuola multilingue che avrei in mente. In Italia forse le cose potrebbero cambiare solo in presenza di una legge che prevede una specifica caratterizzazione della scuola, una formazione, una sperimentazione e un monitoraggio a tappetto. Per il momento ci sono solo alcune direttive ministeriali sul cosiddetto Clil (Content and Language Integrated Learning) che considera la lingua non come una materia ma come un mezzo che veicola altri contenuti. Ma senza una formazione più estesa e lasciando alle scuole il compito di organizzarsi come possono, difficilmente vedremo insegnare ovunque alcune materie in doppia lingua. Per esempio, alle medie della San Vincenzo, che è privata, arte viene fatta in italiano e spagnolo, con la compresenza di due insegnanti e lettere viene proposta in italiano e in inglese perché l’insegnante ha le competenze per farlo”.
A parte Ravenna, ci sono zone che di loro spontanea iniziativa hanno sposato questo approccio?
“Bisogna andare a San Marino per trovare una scuola multilingue che promuove il plurilinguismo a tappeto. Da anni sono consulente del segretario di Stato, che corrisponde al nostro Ministro. Dal nido fino alle superiori, siamo all’inizio del secondo triennio del progetto. Chiaro, dalla scuola elementare in poi le lingue sono anche materie. Ma in generale non sono solo ‘da imparare’, sono da usare. Ore in lingua, non di lingua. A San Marino tutto questo fa ormai parte del sistema scolastico. Sarebbe importante che anche in Italia avvenisse lo stesso”.
Ci sono criticità, per esempio la scarsa competenza linguistica degli insegnanti che dovrebbero parlare ai bambini in inglese piuttosto che in francese, magari durante le routine scolastiche?
“In linea teorica questo potrebbe essere un problema. Ma vanno sottolineate due questioni. La prima è che per portare avanti in maniera corretta il plurilinguismo, bisogna accompagnare e seguire il personale docente. La seconda è che dobbiamo uscire da una visione un po’ vecchia di quello che sono le lingue. Inizierei da non chiamarle più straniere, perché farlo significa confinarle ai territori nei quali vengono considerate lingue nazionali. Oggi le lingue sono di tutti e anche il profilo plurilingue di ogni persona è diverso da quello di un’altra. Poi ci si deve capire, per carità. Ma non possiamo neanche più concentrassi sulla pronuncia perfetta che avrebbe una persona nata e cresciuta in Inghilterra, se per esempio ci riferiamo all’inglese. L’estate scorsa mi hanno rubato il portafoglio a Lisbona e quando ho chiamato la mia banca in Gran Bretagna per sbloccare la carta di credito mi ha risposto una persona con l’accento sicuramente di origine indiana. Io sono nato in Inghilterra ma ho chiesto più volte di ripetermi quello che stava dicendo. La persona che mi parlava ci vive dalla nascita e non si è trasferita in Italia come me. Ci sono talmente tante pronunce diverse nel mondo anglofono e tante altre da parte di chi usa legittimamente l’inglese come lingua dello studio, del lavoro e delle attività ricreative tutti i giorni da rendere molto difficile parlare della correttezza facendo riferimento a un parlante nativo ideale”.
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