Lo scorso gennaio, al sesto mese di gravidanza, le hanno diagnosticato una malattia terribile: leucemia promielocitica acuta. Una patologia rara e molto aggressiva. Incurabile fino a qualche tempo fa. E impensabile su una donna incinta fino al caso in questione.

Invece è andato tutto bene e oggi Marzia, insegnante 31enne di Palermo, può festeggiare assieme al marito Emanuele la nascita del piccolo Andrea. Che è sano come un pesce, come la madre del resto. La scoperta del tumore del sangue è stata fatta alla 23esima settimana di gravidanza, come ha raccontato la signora al Corriere della Sera. Ad insospettirla una serie di lividi su braccia e gambe.

Inizialmente i medici pensavano si trattasse di una gestosi e si sono organizzati per un parto cesareo d’urgenza: “Ma al momento di procedere – spiega la giovane insegnante al quotidiano – il ginecologo di turno non se l’è sentita: il rischio che morissimo entrambi era molto alto. Mio figlio era troppo prematuro e io ormai non coagulavo più”. La salvezza è stata imbattersi Sergio Siragusa, direttore di Ematologia al Policlinico di Palermo. Assieme al suo staff, il medico diagnostica la malattia che, chiarisce il dottore, “non di rado si manifesta in maniera improvvisa con una grave coagulopatia che mette a rischio di vita la paziente, specialmente nei primi giorni, e con elevato tasso di mortalità per emorragia maggiore”.

Nel giro di poche ore i medici si trovano a dover prendere la decisione migliore: abortire per poter iniziare la cura con la chemioterapia oppure adattare la terapia sperimentale – nata da una ricerca tutta italiana – senza chemio e provare a salvare mamma e feto. Optano per la seconda ipotesi e fanno bene: Marzia risponde molto bene alle cure e il 23 aprile partorisce grazie ad un cesareo. Viene dimessa dopo cinque giorni assieme al piccolo Andrea, nato alla 35esima settimana di gravidanza quando il parto è stato considerato “sicuro”. Il piccolo non ha risentito né della patologia della madre, né delle cure mentre la neomamma adesso deve proseguire una terapia di mantenimento ma tra i medici c’è molto ottimismo.