“Pigiama party” è un concetto ormai diffusissimo in casa nostra. La figlia di dieci anni ne organizza e ne frequenta a bizzeffe. I pigiami, in realtà, restano sotto il cuscino (se la festa è da noi) o nello zaino (se è dagli amici). E di atmosfera da party, se non fosse per la somma del volume delle varie voci, non se ne percepisce.
Pigiama party – ben oltre le reminiscenze di panini alla nutella a mezzanotte, giochi di società, musica – significa stare svegli più che si può con lo sguardo fisso al tablet, sfidando gli amici a giochi non meglio identificati. Cosa che si potrebbe fare anche senza incontrarsi e sfiorarsi su divani ormai sformati.
L’ultima volta è che il pigiama party si è tenuto sotto la mia egida ho provato a organizzare una specie di gara di cucina a squadre. La sfida si giocava sulla preparazione dei Brownies. Il gruppetto si è pure appassionato, mi pare di avere sentito dire “che bella idea”, “divertente” o cose simili. Ma la magia è durata dieci minuti, portandosi dietro – come conseguenza – una cucina imbrattata di burro e cioccolato da pulire.
Allora ho proposto la visione di un film – “Diario di una schiappa” – che però non è stato accolto all’unisono. Alcuni lo hanno guardato, altri sono tornati al tablet.
Alle quattro di notte, raggiunto il massimo della pazienza, dopo aver chiesto una decina di volte alla combriccola di dormire, a intervalli sempre più fitti, sono passata alle minacce. E il silenzio è calato sulla stanza, inaspettatamente.
Ma non c’è limite al peggio. Venerdì sera la ragazza è andata al pigiama party di un amico. Quando sono andata a prenderla alle dieci e mezza di sabato, l’ho trovata in stato comatoso sul divano, mentre la mamma del compagno mi raccontava della notte interamente in bianco trascorsa dai simpatici ospiti. Ho provato a svegliarla ma lei ha aperto gli occhi un secondo per poi richiuderli pesantemente. L’ho trascinata in macchina, dove ha continuato a dormire, cosa che ha fatto anche a casa fino quando, alle quattro del pomeriggio, incavolata come una iena per averci costretto alla clausura, l’ho svegliata per portarla a musica.
- Amore, come ti chiami?
- Eh?
- Come ti chiami?
- Boh.
- Ti sei accorta che sono venuta a prenderti?
- No. Da dove, poi?
- Hai fame?
- Voglio dormire.
- No, bisogna che mangi. Hai lezione tra poco.
- Colazione?
- No, è pomeriggio: merenda.
- In che senso?
Compiti per i prossimi giorni: lavorare sul concetto del limite, distruggere i tablet, abolire i pigiama party.
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