Ragazzi che curano bimbi, anziani e malati: la battaglia di una prof

Dietro al banco, sui libri, alla lavagna. Ci sono ragazzi che negli anni della scuola, mentre si pensa che il loro unico lavoro sia quello di studiare, in realtà a casa fanno molto altro: accudiscono, per esempio, parenti anziani o malati, familiari disabili, fratelli più piccoli. Sono i cosiddetti giovani caregiver che secondo le stime della Regione Emilia-Romagna ammontano a 13.250 (in età 15-24 anni).

Alessandra Prati, che ora lavora all’Ufficio scolastico provinciale di Forlì-Cesena, era una prof dell’Istituto professionale Versari Macrelli quando l’Asp, che era in contatto con la cooperativa “Anziani e non solo” di Carpi, chiese a lei e ai colleghi – dopo una breve formazione – di somministrare agli studenti un questionario per sondare quanti di loro si dichiarassero caregiver: “Inizialmente risultò che ce n’erano una dozzina su circa mille ragazzi. Numeri piccoli ai quali, però, non avevamo mai prestato attenzione prima. Al massimo li avevamo considerati come ragazzi particolarmente sensibili senza mai andare a fondo”.

Capita infatti che chi ricopre questo ruolo tenda a non dichiararlo: “Per riservatezza, pudore e anche per una forte sofferenza intima che vivono nell’accudire un familiare, sono spesso ragazzi ‘in punta di piedi’. Non solo: a volte è così naturale, per loro, ricoprire quel ruolo, che di fatto non si sono mai definiti caregiver. Lo fanno e basta senza accorgersi che, per l’età in cui sono, è una particolarità”.

Dopo il sondaggio, un progetto europeo dal nome Epyc ha consentito alla scuola (unica in Italia), accompagnata da partner tedeschi, irlandesi, scozzesi e austriaci di lavorare sulle forme di tutela per i giovani caregiver: “Siamo stati i primi in Italia a occuparci a livello scolastico di questo tema. Lo abbiamo fatta informando i docenti durante la Giornata del caregiver ma anche distribuendo depliant nelle classi, affinché i ragazzi coinvolti potessero riconoscersi. Poi, rispettando la privacy, abbiamo chiesto ai ragazzi di contattare i membri di una commissione interna alla scuola, in modo da individuare meglio bisogni ed esigenze”.

A quel punto sono stati studiati una serie di accorgimenti, dal programmare le interrogazioni al non dare troppi compiti a casa: “Non solo – continua Prati -. Le assenze giustificate non vengono conteggiate ai fini dell’ammissione all’esame. E se lo si ritiene opportuno, può essere stilato un piano didattico personalizzato. Io avevo un’alunna, in quinta, costretta spesso a non venire a scuola perché accompagnava la mamma a fare la chemio”.

La foto di Francesca Manuzzi dal titolo “Pace”
Edea Karoja, “Nutrimento”

Quest’anno è stato anche organizzato un corso di formazione per insegnanti dal titolo “Imparo ad aiutarti”. A partecipare, anche alcune insegnanti della primaria: “Una di loro mi ha raccontato di avere, in classe, una bimba di nove anni che si occupa della nonna allettata che vive con lei e la madre, separata dal padre”. Se il progetto, per ora, riguarda le superiori, l’obiettivo di Alessandra Prati è che possa essere esteso oltre: “Nella scelta delle superiori, va sottolineato, i ragazzi sono condizionati dal fatto di non avere troppo tempo da dedicare alla scuola, se già si devono occupare di un familiare. Dobbiamo pensarci prima, agire sul piano preventivo”.

Il prossimo passo sarà scrivere delle linee guida da consegnare a tutte le scuole superiori della provincia: “Essere un giovane caregiver ha conseguenze di non poco conto: porta problemi di concentrazione, attenzione e memoria, oltre a stanchezza, angoscia e a volte depressione. Mi è capitata un’alunna, alla fine della prima, che teneva sempre il cellulare sul banco perché la mamma stava morendo. Oltre a quel periodo di ansia e dolore, ha iniziato a prendersi cura dei fratellini dopo la perdita della mamma”. 

Con l’Ufficio scolastico provinciale Prati ha anche lanciato un concorso, “Carpe imaginem”, in cui i ragazzi si sono cimentati mandando una foto che rappresentasse l’emozione di un giovane caregiver: “Il concorso è diventato una mostra itinerante che speriamo di ricominciare a portare in giro”.

 

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