Che cosa succede quando una donna ha un’emorragia post-parto? I professionisti potrebbero essere più attenti ai suoi bisogni, al suo benessere emotivo, all’elaborazione del suo trauma? Giovanna Bestetti, che in tutta Italia – e in particolare in Emilia-Romagna – si occupa di consulenza e formazione nei percorsi nascita, ne parlerà al convegno “L’ostetricia e le evidenza 2018” in programma a Modena il 28 e 29 settembre.
Dottoressa, le donne sono abbastanza informate sul rischio eventuale dell’emorragia ostetrica?

“Non credo ci sia un problema di informazione. O meglio, non credo sia sempre necessario informarle su tutta la gamma dei possibili esiti di un’emorragia post-partum, rischiando di mandarle in ansia. Credo che sia sufficiente che sappiano di questa eventualità ma soprattutto che i professionisti siano sempre più preparati a gestire anche gli aspetti emotivi di questa evenienza”.
Per esempio?
“Quando dopo un parto, che magari non è stato nemmeno complicato, la donna inizia improvvisamente o gradualmente a perdere sangue, si possono ape due scenari. Nel primo, può succedere che l’organizzazione tenga, che l’équipe sappia agire in modo efficace, mantendo la calma, che alla donna venga spiegato cosa sta succedendo, che il bimbo venga dato in braccio al papà. Nel secondo, può accadere il contrario: che i professionisti, pur intervenendo con la stessa tempestività e risolvendo la situazione, lo facciamo con modalità più concitate che aumentino la percezione della donna e al compagno di essere in una situazione di pericolo grave, talvolta ben più grave di quanto non lo sia in realtà, che non venga spiegato cosa sta succedendo e cosa si sta facendo per risolvere la situazione e qualche volta che la donna finisca in sala operatoria senza capire nulla. Ecco, spesso il vissuto traumatico dell’emorragia è legato più al clima che si crea in quel momento che non alla gravità dell’evento stesso”.
Per evitare conseguenze psicologiche, si può recuperare in un secondo momento?
“Certo, se si mette in campo un’attenzione alla donna e al compagno subito dopo l’emergenza, spiegando loro che cosa è successo e cosa è stato fatto e cercando di ripristinare il più possibile il clima intimo del dopo parto, ad esempio consentendo ai padri o a un familiare di restare accanto alla mamma anche la notte, per aiutarla a tenere il neonato vicino a sé. Mandare via i padri di notte impedendo loro di stare accanto alla mamma che ha avuto un’emorragia, per esempio, è controproducente. Così come allontanarla dal bambino o non aiutandola ad allattare, visto che magari si sente debole e fa fatica ad alzarsi dal letto. Nell’immaginario, bisogna ricordare che l’emorragia è associata alla morte e quindi se la donna ha vissuto questo evento in una situazione assistenziale concitata, se ad emergenza conclusa si ritrova sola, senza il neonato vicino e una persona cara accanto, senza nessuno che le spieghi cosa è accaduto, può aver avuto la percezione di aver scampato un pericolo molto più grande e questa paura può continuare ad aleggiare nella donna, nella coppia, rendendo più difficile il ritorno alla serenità”.
Prima delle dimissioni che cosa si può fare, nel concreto?
“Per aiutare la mamma a superare l’eventuale choc di questo momento, è importante fare in modo che possa esprimere il suo stato d’animo, le sue emozioni, senza banalizzarle o minimizzarle, aver cura di ciò che succederà dopo la dimissione, aiutandola a capire come potersi riprendere, come potersi riposare e accudire al suo bambino senza doversi occupare di altre faccende. Fondamentale è anche indicarle le opportunità di aiuto sul territorio, come i consultori e l’assistenza ostetrica a domicilio”.