“Si cura il cancro, si curano le malattie più rare e misteriose, ma ancora si partorisce con dolore”. Con queste parole una futura mamma di Taranto, Annalisa Galeandro, nei giorni scorsi ha denunciato la mancanza di anestesisti nella propria città e quindi l’impossibilità di ricorrere all’epidurale. Il problema, tuttavia, non pare ristretto a una zona particolarmente disastrata del Sud ma riguarda anche altre aree del Paese (teoricamente) più avanzate ed efficienti. A puntualizzarlo è l’Aaroi-Emac, l’associazione degli anestesisti e rianimatori riuniti in sindacato.

“È sempre antipatico dire lo avevamo detto, ma in questo caso – puntualizza l’associazione – non è altro che la realtà. Lo avevamo scritto e riscritto all’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, lo avevamo denunciato sui media, avevamo anche lanciato una petizione su change.org sulla sicurezza dei punti nascita. Insomma avevamo cercato in tutti modi di sensibilizzare sul fatto che inserire la partoanalgesia nei Nuovi Lea non equivaleva a dire che il parto senza dolore sarebbe diventato un diritto per tutte le mamme che ne avessero fatto richiesta”.

Infatti, in teoria i Lea, i livelli essenziali di assistenza della sanità italiana garantiscono il parto in analgesia. Ma solo sulla carta perché come ha fatto notare più volte l’Aaroi-Emac “le dotazioni organiche di anestesisti rianimatori negli ospedali italiani non sono sufficienti per garantire la partoanalgesia in qualità e sicurezza”.

“Chi più di noi, care future mamme, può comprendere il vostro stato d’animo? – dice il sindacato degli anestesisti -. Fin da subito lo abbiamo definito un diritto di carta, ben consapevoli che senza risorse e senza un piano per colmare la carenza di anestesisti rianimatori in Italia sarebbe stato aleatorio, o – per dirla meglio – impossibile istituire servizi di partoanalgesia là dove non ci sono risorse umane sufficienti. È per questo, care future mamme, che oggi come allora riteniamo giusto scrivervi affinché non pensiate mai che l’impossibilità di garantire un vostro diritto possa solo lontanamente dipendere dalla volontà degli anestesisti rianimatori Italiani. È esattamente il contrario. E ben lo ha sottolineato la futura mamma nella sua lettera nello scrivere che viene negata ai medici la possibilità di dare a noi pazienti tutte le cure e gli aiuti possibili”.

“Come professionisti – insiste il sindacato – tra le cui attività c’è quella di alleviare il dolore, è per noi molto triste non poterlo fare ogni qualvolta ci sia richiesto perché in alcune realtà non siamo messi in condizioni di svolgere il nostro lavoro. D’altra parte è per noi improponibile – anche se purtroppo talvolta accade per imposizione di aziende che vogliono apparire zelanti – offrire il servizio di partoanalgesia in punti nascita che non rispondano ai criteri di sicurezza previsti dalle normative. Vale a dire che là dove non vi sia un anestesista rianimatore dedicato al punto nascita o ancor meglio al parto indolore, non è possibile garantire questo servizio. Per noi viene prima di tutto la sicurezza dei pazienti. Anche per questo – affinché la carenza di anestesisti rianimatori venga colmata in modo da poter garantire i Lea – il 23 novembre Noi scioperiamo. Anche per Voi”.

Alessandro Vergallo, presidente nazionale Aaroi-Emac, ci era andato giù duro in occasione dell’approvazione dei nuovi Lea: “È da terzo mondo pretendere che ancora oggi – ha detto – le urgenze e le emergenze in capo agli anestesisti rianimatori, nei punti nascita e non solo, siano coperte da personale medico in ‘pronta disponibilità’, obbligato ad accorrere dalla propria casa in ospedale, ad ogni ora della notte, e spesso con condizioni metereologiche e logistiche rischiose per l’incolumità propria e altrui, in soccorso di un sistema ospedaliero ridotto ad un colabrodo da amministrazioni che risparmiano sulle risorse umane per aver maggior libertà di spreco su altri fronti di spesa“. In mancanza di un servizio di anestesia dedicato, il diritto all’epidurale resta solo una bella espressione.