“I problemi delle coppie che vivono la disabilità dei figli sono gli stessi di tutte ma sono, spesso, molto più accentuati”. Silvia Casali, presidente dell’associazione “Voce all’autismo” di Cesena, esordisce così nel trattare un tema delicato e poco discusso: il modo in cui la disabilità impatta sulle relazioni tra padre e madre. Argomento che verrà trattato mercoledì 29 gennaio alle 20,30 alla sala Assiprov di via Serraglio 18.
“Sono sposata da 23 anni, conosco mio marito da trenta – racconta Silvia -. Abbiamo un figlio che fa la seconda media e al quale, a otto anni, è stata diagnosticata la sindrome di Asperger, una forma di autismo ad alto funzionamento. A dire il vero quel momento è stato liberatorio per me, finalmente sapevo quale fosse il problema e che cosa dovessi combattere. Le maggiori difficoltà, a casa, le abbiamo avute prima, quando alla materna ci siamo accorti che nel nostro bambino c’era qualcosa che non andava. A dire il vero sono stata io la prima a notarlo, mio marito per fortuna non ha negato come a volte accade: è stato collaborativo e si è affidato alle mie impressioni”.
Per quanto gli specialisti avessero notato che nel bambino, a fronte di un rapido e precoce sviluppo cognitivo non ci fosse un’adeguata capacità di gestire le emozioni, nessuno sapeva indicare quale fosse, effettivamente, il problema: “Già il fatto di accettare che ce ne fosse uno, e sempre più evidente, per una coppia è un ostacolo non da poco. Ognuno ha il suo modo di reagire davanti alle cose, ognuno ha i suoi tempi. E ognuno, davanti a tutto questo, deve come ritagliarsi un ruolo: ancora oggi io sono quella più attenta ai bisogni psicologici di nostro figlio, mio marito quello che più lavora sulla parte pratica delle autonomie”.
Lungi da Silvia, però, affermare che la disabilità sia un dono: “Per noi non lo è affatto. Il dono, sicuramente, è nostro figlio. Ma delle sue difficoltà avremmo fatti volentieri a meno, pur essendo consapevoli che siamo stati più fortunati di altri con casi ben più gravi“. Nemmeno parlare dell’argomento disabilità, tra moglie e marito, è facile: “Abituarsi all’idea non è scontato. Così come non è scontato decidere di dedicare alla coppia un tempo per l’elaborazione. Io e mia marito, già prima della diagnosi, ci siamo fatti seguire. Oggi io sto continuando da sola da una psicologa, perché la situazione di mia figlio mi ha sicuramente appesantita a livello psicologico. All’interno dell’associazione abbiamo attivato proprio un percorso di sostegno alle famiglie in questo senso, convinti che sia fondamentale per non rischiare di mandare le coppie e le famiglie all’aria. Spesso, quando ci si rende conto di essere a un passo dal baratro, è tardi: i figli, ancor più vero se sono disabili, mettono davvero a dura prova. Alle famiglie spesso dico di ritagliarselo, quel tempo e quello spazio per sé, anche se capita di essere talmente concentrati sui figli da non pensare di averne bisogno o di meritarselo”.
Altro motivo di instabilità, per le coppie in questione, è il pensiero ricorrente e faticoso sul “dopo di noi”, ovvero su quel che succederà ai figli con disabilità una volta che i genitori saranno anziani o non ci saranno più: “Le incertezze sul futuro non aiutano certo a stare bene insieme. A tutto questo si aggiungono numerose difficoltà logistiche. Se io e mio marito vogliamo fare un fine settimana fuori da soli, non sappiamo bene se nostro figlio accetterà questo cambiamento. Idem per tutte le volte in cui c’è un cambio programma e si rischiano crisi. I pochissimi momenti di libertà, al tempo stesso, a volte sono tutto fuorché fonte di piacere, perché le ansie per quel che sarà prevalgono“.
Qui l’intervista a Marinella Drudi sull’impatto della disabilità sul rapporto tra fratelli
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