L’istituto di statistica ha pubblicato un articolato rapporto sul modo in cui gli italiani hanno affrontato la seconda ondata di coronavirus e le restrizioni. Le famiglie hanno retto, anche se dove i rapporti erano già difficili sono peggiorati, ma un italiano su cinque ha difficoltà a pagare le spese di tutti i giorni 

L’Istat ha pubblicato uno studio in cui ha analizzato il comportamento e le opinioni dei cittadini durante la seconda ondata pandemica, in particolare nel periodo tra metà dicembre e gennaio. Pur sottolineando le difficoltà del periodo (il 44,7% si è espresso negativamente, il 21,2% in maniera “neutra” e il 34,1% in positivo) il “mood” con cui si è affrontata la seconda ondata è migliore rispetto al lockdown di aprile quando il 56,9% si esprimeva in termini negativi.

Le parole per descriverlo

Le parole utilizzate con maggior frequenza per descrivere la giornata sono: “tranquilla” (pari al 38,2% delle parole positive, 23,0% ad aprile 2020) e “serena” (pari al 15,2% delle parole positive, 6,7% ad aprile 2020). Tra le parole di segno opposto più usate compaiono: “noiosa” (17,2%, 21,5% ad aprile 2020), “monotona” (8,9%) e lunga (7,2%). Secondo quanto rileva l’Istat, l’abitudine a convivere con la situazione determinata dall’emergenza sanitaria e la minore rigidità delle regole di comportamento anti contagio hanno molto probabilmente contribuito alla riduzione del sentiment della noia che in fase di primo lockdown è stata particolarmente sentita e diffusa. Alcuni aggettivi (“normale”, “lavorativa”) molto utilizzati rimandano per l’istituto di statistica perlopiù a una normalità recuperata rispetto ad aprile 2020, quando queste parole erano meno utilizzate.

Il rapporto con la famiglia

“Riguardo le relazioni con i familiari conviventi, più di tre cittadini su quattro (76,2%) hanno scelto parole di significato positivo, l’8,4% termini di accezione negativa, il 14,9% termini non classificabili come positivi o negativi”. Una distribuzione simile a quanto rilevato durante il lockdown.

Il 93,1% definisce i rapporti familiari buoni (49,1%) o ottimi (44,0%), per il 6,7% non sono buoni né cattivi mentre solo lo 0,3% li definisce cattivi o pessimi. Questo giudizio positivo è trasversale alle classi di età, al territorio e alla tipologia familiare. “Anche in questo caso – dice l’Istat -, i dati restituiscono una fotografia quasi perfettamente sovrapponibile a quella scattata in pieno primo lockdown”. La convivenza forzata non ha quindi prodotto effetti negativi e il clima familiare  è rimasto inalterato anche in questo difficile periodo (86,3%). Per un cittadino su 10 è persino migliorato, anche se la quota è leggermente più bassa di quella rilevata ad aprile 2020 (15,6%). 

Le relazioni tra conviventi sono invece peggiorate per il 3,2% della popolazione (2,6% ad aprile 2020).  Non è da sottovalutare questa fetta di popolazione perché si tratta di un milione di persone per le quali la pandemia ha messo a dura prova la convivenza all’interno delle mura domestiche.

Il tempo dedicato alla famiglia ha beneficiato delle restrizioni: più di uno su quattro (28,3%) è riuscito ad incrementarlo e solo per l’uno per cento è diminuito. Spiega l’Istat: “Sono soprattutto le persone fino ai 44 anni d’età ad aver ricavato più tempo da dedicare alla famiglia, in particolare gli uomini tra i 35 e i 44 anni (47,8%). Per effetto dello smart working e della sospensione di alcune attività lavorative ciò è stato possibile per alcuni lavoratori, più che per altri. Ad esempio, la quota di chi ha dedicato più tempo alla famiglia è del 39,3% tra gli occupati del Commercio mentre scende al 10,9% tra i lavoratori della Sanità che, nel 9,1% dei casi, hanno dovuto ridurlo.  Il 22,0% di chi ha dedicato più tempo ai familiari considera migliorato il clima familiare; tale quota scende al 5,7% tra quanti non hanno modificato la quantità di tempo destinato alla famiglia”.

Le situazioni difficili

L’85,1% ha poco e nessun timore di dire o fare qualcosa quando ci si trova in famiglia. Tuttavia emergono situazioni critiche per il 14,9% delle persone, una percentuale piuttosto alta: l’11,9% dichiara di avere abbastanza paura di dire o fare qualcosa, il 3% invece di avere molta paura. Si tratta di oltre 4 milioni e 700mila persone senza significative differenze di genere. Rispetto a quanto rilevato ad aprile 2020, la quota di persone che esprimono molto o abbastanza timore è passata dal 9,1% al 14,9% mentre è scesa dal 74,0% a 62,8% la quota di quanti dichiarano di non avere alcun timore. 

La quota di chi esprime timore è più elevata tra gli anziani (21,9% tra quanti hanno 75 anni o più: 25,5% se donne) e tra i giovani di 25-34 anni (18,6%). Anche a livello territoriale emergono differenze, con valori più elevati al Nord (22,2% contro il 10,8% del Mezzogiorno e il 6,3% del Centro). “Questo indicatore – sottolinea l’Istat -, pur non interpretabile univocamente come spia di una conflittualità familiare, contribuisce a identificare contesti familiari a rischio. Per esempio, chi esprime timori ha in genere una propensione alla scelta di termini negativi per descrivere il clima familiare e la giornata. Infatti, il 25,4% di quanti hanno molto o abbastanza timore di esprimersi in famiglia usa termini di accezione negativa per descrivere i rapporti con i familiari conviventi, a fronte del 5,2% di chi questi timori non li dichiara”. 

Le difficoltà economiche

Una gran parte della popolazione ha incontrato difficoltà nel far fronte ai propri impegni economici come, ad esempio, pagare il mutuo, le bollette, l’affitto. Il 13,4% degli intervistati (o un loro familiare convivente) ha avuto problemi col pagamento delle bollette (l’11,8% ha dovuto rimandarne il pagamento, il 9,1% non è riuscito a pagarle), il 16,5% ha dovuto rinunciare alle vacanze, il 13,9% non è riuscito a fare fronte a una spesa imprevista, il 6,3% non è riuscito a pagare le rate di un mutuo o di un prestito o le spese necessarie per i pasti mentre il 6,7% non è riuscito a pagare l’affitto. Si tratta di più di 11 milioni di persone e tra questi oltre tre milioni hanno incontrato problemi nell’affrontare le spese alimentari durante la seconda ondata. Le difficoltà si sono spesso sovrapposte, la maggior parte di chi ha avuto problemi non è riuscita a fronteggiare almeno due impegni economici (76,2%), il 34,7% (pari a tre milioni e 800mila persone) almeno quattro. 

La quota di chi ha avuto almeno uno di questi problemi diminuisce dopo i 55 anni: si passa dal 28,5% dei 35-54enni al 14,6% degli ultrasessantaquattrenni. Anche le situazioni più critiche per la molteplicità dei problemi incontrati riguardano soprattutto le persone fino a 54 anni e meno i più anziani: il 4,3% delle persone di 65 anni e più ha affrontato quattro o più difficoltà economiche ma la percentuale raddoppia nelle altre classi di età.Il titolo di studio elevato rappresenta un fattore protettivo: ha avuto almeno uno dei problemi economici considerati il 28% delle persone con licenza media rispetto al 15,6% dei laureati.