Alcuni adolescenti sono in terapia perché temono di tornare in classe. Lo psicologo Francesco Rasponi: “Sono più fragili e vulnerabili”

«Gli schermi, che in questo lungo anno contrassegnato dall’emergenza Coronavirus, ci hanno protetti dalla noia e dall’angoscia, consentendoci di gestire il tempo, hanno creato muri. Muri che, per certi adolescenti, ora sono molto alti e robusti, come invalicabili». Francesco Rasponi (nella foto), psicologo psicoterapeuta e referente dell’associazione cesenate Psiche Digitale, ha da poco incontrato, in terapia, un gruppo di ragazzini che, da quando la scuola ha riaperto, in classe non sono tornati. Perché non se la sentono, perché hanno paura, perché sono in ansia: «Una tendenza che non riguarda certo tutti ma che è la punta dell’iceberg di un fenomeno di cui dovremo parlare sempre più spesso: quello degli strascichi che la pandemia, con le sue restrizioni, ha creato sugli adolescenti, ora indeboliti, più fragili, più vulnerabili».
Gli amici? Meglio virtuali
Per Rasponi, che martedì 20 aprile, dalle 18,30 alle 19,30, terrà il webinair gratuito «Non si esce più di casa. Ritiro sociale e scolastico a un anno dalla pandemia» (iscrizioni a info@casabufalini.it), quello che i teenager hanno vissuto tra isolamento, iperconnessione e didattica a distanza, è un mondo che li ha assuefatti, a tratti stancati, ma che è l’unico in cui possono o riescono a rifugiarsi: «In assenza di alternative, continuano a cercare stimoli proprio negli schermi, che si tratti di social, videogiochi o serie tv. Perché per quanto possiamo spronarli a uscire, loro ci risponderanno sempre che fuori non c’è nessun amico ad aspettarli. Anzi. il mondo precedente al febbraio 2020 lo hanno in parte dimenticato. E quando, poco a poco, torneremo alla normalità, che comunque non sarà più la stessa alla quale eravamo abituati, dovremo prenderli per mano per fare in modo che si riapproprino di tempi, spazi e possibilità che ora non contemplano più».
I danni della didattica a distanza
Quello che la pandemia ha messo in evidenza, allora, è che le tecnologie hanno valore e migliorano le nostre esistenze solo se integrate alla vita reale: «La didattica a distanza lo ha messo bene in evidenza. Abbiamo fatto tutti l’errore di credere, all’inizio, che la Dad fosse la scuola in presenza trasferita su uno schermo, salvo accorgerci che senza relazioni e sguardi le cose non funzionano, che le famiglie sono andate in crisi, che il rientro in classe, ora, non per tutti è un passaggio indolore, naturale, automatico. So bene quanto anche i genitori abbiano bisogno, alla luce di questo anno che per un adolescente equivale a una vita, di tornare a prendersi cura di loro stessi. Ma li invito, davvero, a cogliere i segnali, a leggere il disagio dei figli e a chiedere aiuto. Non lo dico per il mio interesse di psicoterapeuta. Ci sono i consultori giovanili, i centri per le famiglie, i vari sportelli gratuiti che sono nati, per fortuna, in questi mesi. Non lasciamo i ragazzi soli con il senso del vuoto, la paura del mondo, i muri che si sono innalzati intorno a loro».