Scrivere di sé, rileggere la propria storia, fare i conti con le proprie fratture interiori e il proprio passato. Lorenza Ghinelli, scrittrice riminese, lo ha proposto ai ragazzi di Agevolando, l’associazione che aiuta i neomaggiorenni cresciuti “fuori famiglia” nel difficile percorso verso l’autonomia. Lo ha proposto sapendo (ma soprattutto scoprendolo strada facendo) che per chi non ha padronanza della lingua italiana e dimestichezza con la scrittura, scrivere di sé può voler dire altro rispetto a ciò a cui siamo abituati a pensare. Da questa esperienza è nata la graphic novel “Sassi e fiori” illustrata da Mabel Morri e promossa dalla Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Rimini. Un libro in cui i protagonisti sono Zain, Bright, Aman, Najam, Jurgen e Sandrit, i sei ragazzi che hanno partecipato al laboratorio di scrittura, entrati in Italia come minori stranieri non accompagnati. “Sassi e fiori” sarà presentato domani, venerdì 29 ottobre, alle 18 al Museo della Città di Rimini (iscrizioni https://forms.gle/
“Ci si annusa i lividi”: che cosa ha “riconosciuto”, di lei, nei ragazzi di Agevolando a cui ha proposto i laboratori di scrittura?
«Apparteniamo tutti alla stessa umana razza. Significa che le ferite che la vita ci ha inferto, per quanto diverse, risuonano. Ho riconosciuto il loro diritto a essere qui, a costruire la vita che sognano. È lo stesso diritto che sento di avere io. Ed è legittimo. E noi abbiamo il dovere di tendere loro una mano, perché al loro posto vorremmo senz’altro che gli altri lo facessero».
Parlavano poco italiano e scrivevano con grande difficoltà: come ha superato il panico iniziale rispetto ai sei ragazzi iscritti al corso?
«Buttando tutta l’accademia nel cestino e cominciando dalle loro esigenze. La strada che avevo proposto inizialmente era inadeguata. Io sono stata inadeguata. A volte, per sbloccarci, dobbiamo porci in atteggiamento di ascolto e non di azione. Ho dunque tentato quella strada».
Il loro “orbitare” su traiettorie diverse dalle sue che cosa le ha suggerito, inizialmente e durante il percorso, per agganciare i ragazzi e fare un buon lavoro con loro?
«Onestamente, non posso affermare di avere fatto un buon lavoro, ma di avere cercato di fare il meglio nonostante l’inadeguatezza dei miei strumenti. Sono sicura però di avere restituito, attraverso la graphic novel che Mabel Morri ha poi illustrato, il senso profondo che questo laboratorio ha avuto per me e per le persone coinvolte».
I fiori e le pietre, a un certo punto del vostro percorso insieme, diventano i punti fermi della costruzione della propria trama interiore: come hanno vissuto, i ragazzi, questo “esercizio” di ricucitura dei propri pezzi?
«Con generosità e apertura. Si sono messi in gioco davvero. È stato un momento di condivisione magica e per nulla scontata che continuerò a portare nel cuore».
C’è chi, come Bright, resta in un silenzio che “fa rumore”: che significato gli ha dato?
«Che il silenzio ha una sua voce che va rispettata, perché dice delle cose non dicendone altre. È, come ogni nostro atteggiamento, un modo di comunicare che non dobbiamo ignorare. Anche il silenzio ci mostra delle strade».
“Io, delle storie di questi piccoli maestri, ho bisogno”: che cosa si è portata a casa di loro e che cosa, secondo lei, si sono portati a casa loro di lei e del laboratorio?
«Io ho portato a casa un’empatia risanata, tante storie che mi hanno fatto riflettere e comprendere meglio anche i tempi che stiamo vivendo. Ho ritrovato un senso dell’umano che nella frenesia quotidiana rischia altrimenti di andare perduto. Cosa abbiano portato a casa i ragazzi, beh, questo andrebbe chiesto a loro».
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