Affido condiviso: il padre vince contro la madre e i servizi sociali

Un importante precedente: il tribunale di Reggio Emilia accoglie la condanna della Corte Europea per i diritti umani decretando l’affido condiviso come messaggio importante alle parti e al minore. I servizi sociali sono stati rimossi dal caso. Ne dà notizia il Ccdu, Comitato dei cittadini per i diritti umani il quale parla di “sentenza innovativa libera da valutazioni di matrice psichiatrica”.

Finalmente giustizia per questo bambino della provincia di Reggio Emilia che potrà vedere i genitori secondo un regime di visite sostanzialmente paritario – spiega il Ccdu . Il Tribunale ha accolto le conclusioni del consulente tecnico di parte del papà, che ha ritenuto il regime di affido condiviso un “messaggio importante alle parti e al minore” in allineamento con la sentenza della Corte Europea del 2015. Il Tribunale ha inoltre determinato che “la conflittualità tra genitori non è di per sé ostativa all’affidamento condiviso, avendo i genitori mostrato consapevolezza di dovere migliorare le proprie competenze”.

Un altro aspetto importante della sentenza è stato l’ascolto del ragazzino: il bambino ha affermato di “essere d’accordo a passare più tempo con suo padre, ma allo stesso tempo desidera mantenere la sua abitazione principale a casa di sua madre, che è più comoda e dove ha tutte le sue cose” e la Corte ne ha preso atto rispettando la sua volontà.

Il Tribunale ha anche accolto le critiche della Corte di Strasburgo ai Servizi Sociali che si erano occupati del caso. Infatti, il Collegio riunito in Camera di Consiglio ha avuto riguardo delle “oggettive difficoltà fra il padre ed il servizio sociale” ed ha ritenuto opportuno “l’inserimento della figura di un coordinatore genitoriale, proposta dalla CTU e accolta dalle parti”. I Servizi sono stati quindi estromessi dal caso.

Secondo la professoressa Vincenza Palmieri, consulente tecnico di parte del padre: “Questa sentenza introduce un concetto importante: la sentenza come atto di giustizia ma soprattutto come messaggio educativo nei confronti proprio del minore che, coinvolto ed ascoltato, è diventato parte attiva. Riabilitare la figura del padre, fare chiarezza, tradurre i bisogni delle parti, rimodulare gli interventi, ridisegnare confini e ruoli e coordinare i genitori senza penalizzare il piccolo, mettere in condizioni di non nuocere chi invece amplificava il conflitto… tutto questo rappresenta un passaggio formativo determinante proprio per il bambino che lo ha vissuto. La giurisprudenza – colorata di valori – va diffusa e replicata!”.

La vicenda di questo bambino nasce parecchi anni a seguito della separazione conflittuale tra i genitori. In base alle relazioni dei servizi, il bambino si era ritrovato a vedere il padre per poche ore al mese sotto la stretta supervisione degli operatori. Come rilevato anche nella Sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani, i tribunali italiani non avevano dato sufficiente peso ai “chiari legami professionali tra la madre del bambino e i servizi sociali che hanno redatto le valutazioni negative che hanno poi condotto a una forte limitazione del diritto del padre di vedere il figlio”.

Il padre si era quindi rivolto alla Corte di Strasburgo che alla fine del 2015 aveva condannato all’unanimità l’Italia per il mancato rispetto del diritto del padre di vedere il figlio. La Corte aveva domandato alle autorità di riesaminare il caso il più rapidamente possibile e finalmente oggi questo è stato fatto.

Secondo Paolo Roat, responsabile nazionale Tutela minori del Comitato dei cittadini per i diritti umani: “Questa sentenza è un importante precedente perché mette in risalto la fallacia di alcune teorie e pratiche di matrice psichiatrica che inquinano il campo della tutela minorile. La forte limitazione delle visite con il padre disposte in passato dai servizi e accolte acriticamente dai precedenti tribunali era basata su valutazioni di natura psichiatrica senza reali elementi oggettivi. Questo caso dimostra che i servizi sociali possono determinare le scelte dei tribunali e possono indurre i tribunali in errore. Questo caso non è un’eccezione. Il nostro comitato ha raccolto centinaia di casi di violazione dei diritti dei bambini prodotti da questa specifica criticità. Per evitare altre violazioni simili dei diritti dei bambini è necessario prenderne atto e formare gli operatori della tutela minorile sui pericoli di queste teorie psichiatriche, lontane anni luce dall’essere di utilità clinica, spirituale e sociale”.

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g