“Nove anni in comunità, oggi sono un papà e aiuto i ragazzi a raggiungere l’autonomia”

L’illuminazione l’ha avuta a Bologna, nel 2009, durante un convegno di Ai.Bi. dedicato al tema dell’uscita dai percorsi di comunità. Federico Zullo, 40 anni, originario di Verona ma oggi residente a Glorie di Bagnacavallo, nel Ravennate, in realtà sapeva già bene che cosa significa lasciare le strutture e dover diventare, da un giorno all’altro, grande e autonomo: “Quella volta, però, la testimonianza di due ragazzi che, forse per la prima volta, hanno parlato pubblicamente del ‘dopo’, è stata dirompente. Anche su di me, che comunque ci ero passato, la loro voce ha avuto un impatto fortissimo. Sono laureato in Scienze dell’educazione, per anni ho fatto ricerca sul tema cercando di capire quali soluzioni esistessero o si potessero trovare. Ma è stato quel convegno a indicarmi la via: ho pensato che se ci fossimo messi insieme, se avessimo iniziato a parlare delle nostre storie, avremmo potuto fare qualcosa di grande, costruendo una cultura dell’uscita dalle comunità“.

Federico è oggi il presidente di Agevolando, l’associazione nazionale dei care leavers, ragazzi e ragazze che, compiuti i 18 anni, escono dai percorsi di accoglienza fuori dalle famiglie di origine, trovandosi il mondo davanti da affrontare: “Siamo in tredici regioni del centro-nord, fino a Cagliari, anche se svolgiamo attività pure a Napoli e in Sicilia. In Romagna siamo presenti con le sedi di Rimini e Ravenna”. In questi dieci anni di vita di Agevolando, una delle soddisfazioni più grandi, per Federico, è stato il fondo nazionale sperimentale per i neo-maggiorenni, ottenuto anche grazie al coinvolgimento attivo dei ragazzi, che hanno parlato direttamente alla politica dei loro bisogni e delle loro difficoltà. Un tema non irrilevante, visto che riguarda circa 3mila persone l’anno, in Italia: “Essendo stato inserito nella legge di stabilità 2017, il fondo permetterà di usufruire di 5 milioni di euro l’anno per tre anni per l’accompagnamento all’autonomia”. Sulla propria pelle Federico sa che, una volta che si esce da una comunità, un casa famiglia o un affido, si apre il vuoto: “Il problema maggiore è la solitudine. La vita in comunità, dove io sono rimasto dai 10 ai 19 anni, può essere difficile ma è comunque fatta di relazioni. Quando si esce, si sentono tante responsabilità e tante fatiche sulle spalle. Le ho sperimentate anche io che comunque avevo un casa e una nonna, sebbene anziana. Agevolando è nata proprio per limitare questi rischi, accompagnando i ragazzi e dando soluzioni abitative”.

Quando ripensa alla comunità, oggi, per Federico il primo ricordo riguarda i pomeriggi dopo la scuola, passati a giocare con i compagni: “Fino ai 14 anni, quando ho iniziato a convivere con pochi ragazzi, sono rimasto in un istituto dove eravamo in quaranta. Non c’era, anche per via dei numeri, una grande attenzione al singolo e alle relazioni. Così ci alleavamo tra noi, nelle cose belle e nell’essere un po’ trasgressivi e fuori dalle regole. Ci ho messo almeno cinque anni, quando sono uscito, a considerarmi autonomo”. Federico lo deve, in particolare, ad Agnese, che oggi è sua moglie e la madre dei suoi bambini di quattro e due anni: “Non ero troppo destabilizzato, quando ci siamo conosciuti. Ma di certo, dentro, avevo un’inquietudine che lei ha saputo accogliere. Non era scontato, per me, trovare una persona che mi volesse bene nonostante la mia storia, che sentivo come una forma di diversità”. Per i primi anni, però, l’idea di una famiglia propria Federico non l’aveva messa in conto: “Agnese e la psicoterapia, che mi ha aiutato ad affrontare i miei vuoti, a mettere tutti i pezzi nei cassetti e a trovare una pace interiore, sono stati fondamentali. E così, sebbene con un pizzico d’ansia, il desiderio di avere dei bambini è venuto da sé”. Quando guarda i suoi figli, però, Federico non rivive le mancanze che ha sentito sulla propria pelle: “Mi emoziona, al contrario, sapere che loro un padre ce l’hanno, a differenza mia”.

Oggi Federico lavora come direttore della cooperativa “è Buono”, il primo franchising sociale in Italia, che a Bologna, Genova e Verona dà lavoro a undici ragazzi usciti dai percorsi fuori famiglia: “Durante la stagione estiva arriviamo anche a 25. Il mio desiderio è che si possa espandere ancora di più”. E mentre guarda con fierezza sia al network nazionale dei care leavers che a quello europeo, Federico sogna in grande: “Mi piacerebbe dar vita a una Ong per dare una mano ai ragazzi che escono dagli orfanotrofi nei Paesi poveri del mondo”. 

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