“Basta insegnanti di sostegno fuori dalle classi”. A Rimini l’appuntamento clou sull’integrazione scolastica

Tremila persone, con punte di quattromila. Il convegno che Erickson ha in programma l’8, il 9 e il 10 novembre al Palacongressi di Rimini dal titolo “La qualità dell’integrazione scolastica e sociale” è da nove edizioni a questa parte un appuntamento fisso per tutti quelli che sul territorio nazionale hanno a che fare – per motivi lavorativi o familiari – con la disabilità. Perché è a scuola che si fanno le rivoluzioni, anche se la scuola italiana non sempre dà soddisfazioni quanto all’inclusione dei bisogni speciali. Lo dice a chiare lettere Dario Ianes, uno dei direttori scientifici dell’evento.
Professore, al convegno ci saranno ottanta workshop e quasi trenta plenarie. Se uno non si guarda intorno, pensa che l’Italia sia un’eccellenza nel campo dell’integrazione scolastica. E invece?
“E invece siamo davanti ad una situazione strana, con punte di eccellenza davvero interessanti e cose negative. Proprio ieri una studentessa che sta facendo un tirocinio in una scuola mi raccontava che gli insegnanti di sostegno escono dalla classe. Ecco, in questi casi la parola integrazione si svuota, è come se non esistesse. Ciò non toglie che vi siano scuole in cui la distinzione tra sostegno e curriculare si è annullata. I bambini, la differenza, non la vedono. Questa è la direzione verso la quale stiamo spingendo”.
La situazione, geograficamente parlando, com’è?
“In realtà è a macchia di leopardo ma è chiaro che al Sud ci sono più difficoltà. A volte fare l’insegnante di sostegno è un modo per trovare un impiego più velocemente. Dopo cinque anni, molti lo abbandonano e vanno a fare gli insegnanti classici. Questo ci fa capire che forse è sbagliato e fuori luogo parlare ancora di insegnanti di sostegno: è come un marchio di fabbrica. L’insegnante viene nominato sulla base della diagnosi di un bambino e si creano così piccole segregazioni che danno vita ad anomalie e paradossi. In Italia abbiamo 103mila insegnanti di sostegno: è un investimento enorme in termini economici, che però non ha un ritorno sul sociale. Sono distorsioni da correggere”.
Forse è un ruolo sottovalutato?
“Lo è. Le ultime indicazioni del Ministero dicono che con un corso breve, si può fare il sostegno. Non è così: se si continua su questa strada, il sostegno verrà visto come qualcosa di confuso. Servono invece competenze, specializzazioni. E una maggiore integrazione con i docenti cosiddetti normali”.
Altrimenti?
“Altrimenti si continua a perpetuare un sistema di micro-esclusioni. La stessa Norvegia, un Paese al quale guardiamo per quanto è avanzato, tende a fare uscire gli insegnanti di sostegno dalle classi. Del resto, anche da noi, se creiamo l’aula del sostegno, dobbiamo aspettarci che questa venga utilizzata”.
Forse servirebbe qualche suggerimento di non addetti ai lavori?
“Ci interessa eccome. Quest’anno al convegno abbiamo invitato personaggi non tecnici come Marco Lodoli, Massimo Recalcati, Piergiorgio Odifreddi, Gianluca Nicoletti. Ci interessa il loro pensiero divergente, laterale. Qui bisogna cambiare le radici del sistema”.

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g