“Mangiava poco, era svogliato, s’impegnava meno nei compiti, non voleva più andare a scuola”. Una mamma si accorge in due secondi se suo figlio cambia atteggiamento. E Maria (il nome è di fantasia), di Ravenna, quando ha notato quei segnali anomali in Stefano (anche questo è un nome di fantasia), è rimasta con le antenne dritte. Stefano ha dodici anni e la prima media, nel settembre scorso, è iniziata senza difficoltà. Ma poco prima di Natale i suoi genitori cominciano a vederlo strano: “Per tre volte ci hanno chiamati da scuola perché nostro figlio non stava bene. Lo abbiamo portato a diverse visite, convinti che ci fosse un problema di salute”. Ma i medici non trovano nulla. Fino a che un giorno, a forza di insistere, Maria capisce qual è il nodo della questione. Stefano racconta infatti di aver ricevuto uno schiaffone in piena regola da un compagno di scuola, nel bagno. Quel coetaneo lo tormentava da un po’, forse giocando troppo sulla rivalità causata da una ragazzina che piaceva ad entrambi. Stefano racconta alla mamma che il “bullo” si era già fatto riconoscere per altri episodi poco regolari. E che, tempo prima, aveva già cercato di colpirlo, tentativo andato vano grazie ad un compagno che aveva fatto da scudo.
Maria allora alza il telefono e chiama la segreteria della scuola: “Ho parlato con la vicepreside, dalla quale ho capito che era al corrente che si fosse verificato un episodio poco piacevole, anche se non sapeva riguardasse mio figlio. E dire che Stefano aveva segnalato lo schiaffo ai professori. Sono rimasta sconcertata dal fatto che nessuno, dalla scuola, ci abbia avvertiti di nulla. Sono stata io a farmi viva”. Maria chiede che vengano presi provvedimenti verso il ragazzino violento: “Non tanto per rivalsa, quanto perché Stefano non ne voleva più sapere di andare a scuola, impaurito com’era”.
Il bullo, in realtà, non viene sospeso né punito in alcun modo: “Si è limitato a chiedere scusa a mio figlio dopo la probabile strigliata avuta in presidenza, ma ha aggiunto che si scusava solo perché gli avevano detto di farlo”. Stefano, dopo qualche tempo, riceve sul cellulare una chiamata con numero anonimo: dall’altra parte una voce minaccia di picchiarlo il giorno dopo. Ma non succede nulla: “Mio figlio non è sicuro che a parlare sia stato il bullo che gli aveva dato uno schiaffo. E nemmeno che si trattasse di uno scherzo”.
Fatto sta che nei mesi a venire, Stefano si tranquillizza, anche grazie alla vera opera di difesa messa in atto dai compagni. Resta in Maria il grande rammarico di non aver ricevuto alcuna segnalazione su un fatto grave in cui la vittima era proprio suo figlio: “Si parla tanto di bullismo, la scuola di Stefano ha organizzato incontri con le forze dell’ordine, i ragazzi hanno scritto temi sull’argomento. Ma poi, di fronte al caso concreto, la scuola mi è sembrata davvero poco attrezzata ad affrontare la questione”.
Con il senno di poi, Maria è contenta di essere riuscita a mantenere la calma: “In quei momenti, quando sai che tuo figlio è preso di mira e che addirittura c’è qualcuno che gli mette le mani addosso, pensi istintivamente di precipitarti a scuola e farti giustizia da sola. Oppure di sporgere denuncia. Per fortuna ho mantenuto il self-control e non ho perso mai di vista l’obiettivo di risolvere la cosa in maniera pacifica”. Oggi Maria è più consapevole del problema e della necessità di monitorare con attenzione i comportamenti di un adolescente: “Se ricapitasse, sono certa che me ne accorgerei subito. In ogni caso, con tutta la delicatezza del caso spesso mi sincero che per mio figlio tutto a scuola stia filando liscio”.
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