Una famiglia nella gabbia dei movimenti cattolici: “Dove si è tranquilli ma non felici”

Eleonora Mazzoni
Eleonora Mazzoni

Dopo la ricerca di un figlio e la gimcana della fecondazione assistita, l’attrice forlivese Eleonora Mazzoni non si è fermata. Attingendo a piene mani agli otto anni passati all’interno di un movimento cattolico integralista, ma anche all’esperienza di sua madre, fuoriuscita dai Testimoni di Geova, affronta ora nel libro “Gli ipocriti” (chiarelettere) il tema delle gabbie mentali, dell’auto-inganno, della ricerca dell’identità. Argomenti che prendono corpo nella storia di Manu, un’adolescente smarrita che a un tratto non trova più intorno a sé il riparo che pensava di avere e le conferme che dava per scontate: né nella sua famiglia, dove la madre e il padre non si amano più e vivono esistenze parallele, né nel “movimento” dal quale si sentiva protetta.
Eleonora, il libro si arrampica in un terreno poco esplorato: quello, appunto, dei movimenti cattolici più intransigenti. Una scelta ardua: perché?
“Mi interessava raccontare un mondo che ho visto con i miei occhi e che secondo le ricerche è destinato a prendere ancora di più il sopravvento negli anni a venire a causa della crisi economica, sociale e di valori da cui l’occidente è stato travolto. Mi interessava farlo anche per coprire un vuoto: la narrativa italiana di rado affronta il discorso religioso. Eppure il cattolicesimo è un modello inconscio anche per chi non crede, un termine di paragone al quale tutti, bene o male, tendiamo ad affidarci. Basta pensare alla famiglia tradizionale, all’idea del ‘per sempre’: volenti o nolenti, c’è un condizionamento sulle nostre teste. Quando non siamo in grado di portare avanti una relazione, per esempio, viviamo una sorta di senso di fallimento dettato anche dall’idea che pensiamo sia giusto rimanere a vita insieme alla persona che abbiamo sposato o con cui abbiamo messo al mondo i figli”.
Tutto questo non ha a che vedere con la dualità dell’animo umano?
“In parte sì, certo. Tutti cerchiamo appartenenze, protezioni, anche dipendenze. Dall’altro lato, però, vogliamo libertà, indipendenza, felicità. Qualche giorno fa una lettrice mi ha scritto raccontandomi che nel mio libro ha rivisto le stesse dinamiche di una relazione d’amore con un uomo dalla quale si sentiva imprigionata e dalla quale non riusciva a uscire: una interessante testimonianza di come una storia piccola come quella che ho raccontato possa in realtà dar conto di temi universali. Mi è successo anche con il mio primo libro, ‘Le difettose’, che nell’affrontare il discorso della procreazione medicalmente assistita, in realtà parlava anche del volere o non volere un figlio, di amore, del rapporto con la propria madre”.
ipoA Manu, la protagonista, si rivelano a un tratto un padre bugiardo, una madre infelice, un’amica cattiva. E scopre così che “quelli del movimento” sono in realtà come tutti gli altri: umani, egoisti. Le sarebbe successa la stessa cosa a prescindere dal movimento?
“Sì, assolutamente. La storia che racconto parla di dinamiche familiari, della mancanza di comunicazione, dello smarrimento dell’adolescenza, della difficoltà di mantenere vivo un rapporto d’amore per tanti anni. Ma volevo raccontare come tutto questo venga reso ancor più difficile se c’è un’imposizione forte dall’esterno, come quella appunto dei movimenti religiosi integralisti. Cosa che impedisce alle persone di fare i conti con la vita segreta e nascosta che noi tutti abbiamo, di accettarla e raccontarla. Come diceva Dostoevskij, più sei per bene, più hai cose che non riveleresti nemmeno a te stesso. Così per Manu: l’amore tra i genitori è finito ma all’apparenza la sua è una famiglia perfetta”.
A un tratto il movimento viene definito “lager”: si può essere felici là dentro?
“Felici no. Si può essere quieti, consolati. Ci sono persone che riescono a stare dentro, altre che vanno e vengono di continuo. La stessa Manu è disposta a barattare un pezzo di felicità per un po’ di calma in più, a differenza della sorella che si ribella. Tutto questo dipende anche dal carattere delle persone, dal coraggio che si ha o non si ha. Il punto è che, quando sei dentro, arriva il momento in cui non sai nemmeno più a cosa credi, perché al centro non c’è più Dio ma il movimento stesso”.
Si perdono i punti di riferimento fuori?
“Inizialmente sì, perché viene meno la sacralizzazione delle persone che hai intorno, degli amici e dei familiari. Scopri che la realtà è diversa da quella che immaginavi da piccola. Dopodiché si può scegliere se accettare l’auto-inganno e l’ipocrisia oppure no”.

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