Quando racconta che è nato in Benin, nove volte su dieci la gente fa finta di sapere dove si trova, sgrana gli occhi o gli chiede di ripetere. Ma Franck Viderot, 34 anni, a Ravenna dal 2007, ci è abituato. Mediatore culturale per la cooperativa Terra Mia, padre dei piccoli Ambra e Jaen-Marcel, musicista, è uno degli ospiti del Festival Comunità Educante organizzato a Faenza, dal 4 al 10 aprile, dalla cooperativa Kaleidos. Sabato 9 aprile (alle 17 e poi di nuovo alle 18,15) in piazza del Popolo sarà il protagonista dello spettacolo per bambini e genitori “Il Piccolo Baobab”, ispirato a un aneddoto della sua infanzia.
Franck, la musica per parlare di intercultura. Da dove trae spunto il suo spettacolo?
“Quando ero piccolo avevo gambe magrissime, come stecchini. E a sei anni ero alto quanto un bambino di dodici, tanto che tutti pensavano che sarei diventato due metri. I miei coetanei mi prendevano in giro, mi chiamavano ‘filo’, ‘serpente’, ‘corda’, ‘cintura’. Amavo moltissimo giocare a calcio ma rinunciai per la vergogna di indossare i pantaloncini e perché, così lungo e secco, ero molto sgraziato. Un giorno mia nonna, vedendomi triste, per consolarmi mi raccontò la storia del piccolo baobab, che aveva trasformato il suo difetto in un pregio, che aveva fatto della sua diversità una forza. E aggiunse: ‘Non mi sembra possibile che non esista uno sport per un bambino fatto come te’. Allora cominciai a giocare a basket. Sono arrivato quasi al professionismo: ho dovuto lasciare perché a sedici anni ho smesso di crescere in altezza, fermandomi a un metro e 83”.
Si è sentito diverso anche quando è arrivato a Ravenna nove anni fa?
“Ravenna è una città chiusa e non credo smetterà di esserlo. Ma sono arrivato in un momento favorevole e sono stato fortunato. L’Emilia-Romagna dava la possibilità, anche a chi non aveva la cittadinanza, di svolgere il servizio civile, cosa che mi ha permesso di iniziare a fare il mediatore. C’era un attivismo civile molto pronunciato sull’immigrazione. Adesso le cose sono molto cambiate, si è sgretolato tutto. Gli attentati terroristici di certo non aiutano. Chi aveva già dei pregiudizi e delle chiusure verso gli stranieri, credo che ora li abbia ancora più forti. Fino a qualche anno fa certe parole e frasi politicamente scorrette sugli immigrati erano quasi bandite, oggi si è sdoganato tutto”.
Che cosa si può fare, allora?
“Nel mio piccolo io ci provo con la musica. Vado nelle scuole a proporre un laboratorio in cui, attraverso ritmi e note, parlo di diversità e intercultura. Credo di rappresentare anche con la mia storia personale tutto questo: mia moglie è italiana di origine polacca, io vengono dall’Africa e mi sono integrato a Ravenna, dove con il mio lavoro provo a far diventare l’integrazione una realtà”.
Dove le capita di operare, principalmente?
“In diversi contesti: scuole, ospedali, ambulatori, luoghi istituzionali. Sono operativo in lingua francese, inglese e in alcuni dialetti africani. Una diversità che porterò anche nel mio spettacolo a Faenza: racconterò una storia così come si fa al mio Paese, mai senza un fine, sempre per lanciare un messaggio e una lezione di vita. Parlerò ai bambini, che possono a loro volta educare i genitori”.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta