“Sei anni dopo il volo”. Ha scritto questo post, stanotte sulla propria pagina Facebook, il cantautore Niccolò Fabi. Il volo è la perdita di sua figlia Olivia, morta il 3 luglio 2010, a soli 22 mesi, per una meningite fulminante. Anche mia figlia, in quella data, aveva 22 mesi. E io, da sfegatata della musica di Fabi, ricordo di aver provato quella sensazione devastante in cui si mescolano paura e indescrivibile dispiacere, quella che ti fa chiedere “e ora come sopravvive?”, “e ora che senso ha tutto?”. La stessa che ti fa guardare ai tuoi bambini sani e vivi come fosse un miracolo che siano lì con te, salvo darlo per scontato dal giorno dopo.
Ho continuato a seguire la sua musica in tutti questi anni. Mi è anche capitato, più avanti, di scrivere un’altra brutta storia di meningite che ha causato la morte di un’altra bimba, questa volta nella mia città. Quella della piccola Ester, di soli dieci mesi, e della battaglia legale della sua famiglia.
Ogni volta che ascolto Fabi, da sei anni a questa parte, il primo pensiero è a sua figlia. Mi viene automatico: anche se la vita va avanti, anche se lui ha continuato a scrivere e cantare, anche se ha avuto un altro bambino, anche se quell’inesauribile dolore lo ha declinato nel progetto benefico “Parole di Lulù”.
Fino a che, giovedì scorso, Niccolò Fabi è arrivato a Ravenna per “Panorama d’Italia”. E io, siccome non volevo mancare ma non avevo nessuno che mi tenesse mio figlio piccolo, che di mesi ne ha 23 (guarda caso), sono andata con lui. Lui che ha iniziato a piangere appena si è trovato costretto a fare il bravo in un Pala Congressi pieno di gente in religioso silenzio, lui che avrebbe voluto salire e scendere le scale, correre e saltare, incurante della scodella di pappa che avevo portato illudendomi di poterlo fare stare buono.
Così che Niccolò Fabi, che aveva appena risposto alle prime domande del giornalista, si è alzato in piedi rivolgendosi al piccolo rompiscatole: “Sono noioso, lo so. Ma ora ti canto una canzone”. Appena ha suonato i primi accordi e cantato le prime parole, mio figlio si è calmato: è rimasto attento fino alla fine, applaudendo pure. Niccolò Fabi ci ha guardati per verificare che ora fosse tutto a posto e io gli ho fatto segno che la calma era stata ripristinata.
Poi è arrivata “Facciamo finta”, che ascoltarla è una mazzata al cuore: “Facciamo finta che io torno a casa la sera e tu ci sei ancora sul nostro divano blu. Facciamo finta che poi ci abbracciamo e non ci lasciamo mai più”. E poi il saluto finale. E poi gli autografi. Fino a che mi sono aggregata al capannello di fan, fosse anche solo per una foto con il telefonino.
“Che meraviglia”, ha detto Fabi guardando mio figlio. E chissà a cosa pensava in quel momento.
A questo link la cronaca della serata di Ravenna
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Commenti:
Questevtue parole.sono veramente belle…niccolo’ e’.una.persona veramente speciale…ioho avuto la.fortuna.di conoscere e lavorar con.claudio il padre….due esempi straordinari.di verve e sensibilita’…cio’ che e’ successo a lulu’ purtroppo segnera’ una famiglia cosi western…ma loro hanno sempre.pistole dolci…xla.pace dei nostri cuori…grazie dimitri
Ho trovato questo articolo per caso, e rispecchia le sensazioni che ho provato io quel giorno: anch’io avevo una figlia di poco più di due anni e avevo appena saputo di attendere un altro bambino. Ho sentito una tristezza immensa mista a paura più un senso di colpa al pensiero che nello stesso momento in cui ero in vacanza a Malta, felice, un’altra mamma, un altro papà erano caduti in quello che penso sia il peggiore degli incubi
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