ulivoFrode in commercio: l’accusa contro alcuni dei più grandi oleifici italiani è pesante. In sostanza, bei nomi come Carapelli, Bertolli, Santa Sabina, Coricelli, Sasso, Primadonna e Antica Badia avrebbero venduto olio vergine d’oliva spacciandolo come extravergine. Nessun danno per la salute, è bene precisare: le confezioni non contengono sostanze nocive ma, semplicemente, olio di una qualità inferiore. Vergine invece che extravergine, appunto. I consumatori che hanno acquistato i prodotti delle sette imprese indagate avrebbero pagato in media un 30% in più del dovuto.

L’inchiesta è coordinata da un magistrato coraggioso, uno di quelli che non ha paura a sfidare i cosiddetti poteri forti: il procuratore di Torino Raffaele Guariniello, celebre per andare a fondo nel rispetto della tutela dei consumatori ma anche per il processo doping alla Juventus o quello della strage della Thyssen-Krupp o, ancora, la tribolata causa per i morti a causa dell’Eternit. Tutto è partito da una segnalazione relativa all’inchiesta del mensile Il Test nella quale si sospettava che, data l’annata particolarmente difficile per l’olio, i produttori volessero in qualche modo risparmiare vendendo oli più scadenti, anche rivolgendosi all’estero.

Così i Nas hanno prelevato nei supermercati bottiglie delle marche più vendute e le hanno fatte analizzare dal laboratorio chimico di Roma dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli il cale ha declassato nove degli olii testati: da extravergine a vergine. Una pessima figura per le aziende (che comunque avranno modo di difendersi in un eventuale processo) ma soprattutto l’ennesima beffa per le tasche dei cittadini: adesso i soldi spesi in più chi li rende?