Contro la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti all’anno, torna ad alzare la voce il comitato “Giù le mani dalla Pediatria”. Il riferimento è all’ospedale di Faenza: “Riceviamo da tempo numerose testimonianze della situazione del reparto di ostetricia, a partire dalla sospensione dei parti cesarei programmati fino al trasferimento delle gravidanze a rischio all’ospedale di Ravenna (senza peraltro potenziare il reparto ravennate). Non è nei nostri principi sollevare polveroni o strumentalizzare le situazioni, noi cerchiamo di informare, sollevare la coscienza di chi prende decisioni. Renderci tutti un po’ più attenti e consapevoli di ciò che ci circonda. L’ospedale e tutto ciò che riguarda la salute sono un bene di tutti, nessuno escluso”.

E il comitato porta a conoscenza alcune testimonianze arrivate negli ultimi tempi. Che vi riportiamo qui.

“Sono un’ostetrica che da anni lavora presso il punto nascita dell’ospedale di Faenza. Negli anni abbiamo vissuto tanti cambiamenti e tanto turn over di personale medico ed ostetrico. Ma devo ammetterlo, oggi ci hanno davvero tolto la possibilità, e aggiungo, l’entusiasmo, di assistere alle nascite dei nostri bambini nella maniera più naturale e magica che esiste, nel rispetto delle diversità e delle situazioni. Questo perché, oggi, molte donne e sempre di più, sono costrette a scegliere (e quindi diventa una costrizione. Non una scelta!) di partorire in un altro ospedale, in un’altra situazione. Spesso sconosciuta. E a loro inospitale. E questo perché vigono protocolli e nuove linee comportamentali che vietano la nascita a Faenza per certi casi diciamo così, ‘a rischio’. Ora, non possiamo fare nulla sulle decisioni prese dall’alto. Ma possiamo essere unite, uniti tutti, nel dire la nostra. Nel far sapere a tutta la popolazione che si può combattere, si deve capire quando davvero è necessario fare scelte diverse, e quando invece si deve proteggere la nostra scelta, cioè nascere a Faenza!!! Condividiamo, Informiamoci, cerchiamo di essere parte e non di subire le decisioni altrui. Grazie per l’ascolto”.

«Sono una mamma di Faenza, ho 36 anni e 4 figli. Ho sempre avuto gravidanze fisiologiche e parti spontanei. Anche la mia ultima gravidanza, seguita dal consultorio era una gravidanza fisiologica e a basso rischio. Ma quando sono andata all’ospedale di Faenza, questo ottobre, per la visita della gravidanza a termine, con mio grande stupore e delusione, mi hanno detto che non avrei potuto far nascere la mia bimba a Faenza, e sarei dovuta andare a Forlì o Ravenna. Per le nuove procedure ero classificata come parto a rischio per il solo fatto di essere al quarto parto e avevo un possibile rischio di emorragia post partum. Ho quindi vissuto le ultime settimane di gravidanza con grande ansia, perché logisticamente andare a Forlì era molto difficoltoso. Ma se mi recavo a Faenza senza essere abbastanza dilatata, o con le acque rotte, senza travaglio, potevano trasportarmi all’ospedale di Forlì in ambulanza e ovviamente questo mi angosciava. Immaginate anche voi quale potrebbe essere il carico di ansia e adrenalina nel trasporto in ambulanza e nello spostamento ad altro ospedale. Mi è stato detto che sia successo ad altre mamme. Per fortuna la mia bimba è nata velocemente e mi hanno potuto assistere nel reparto di Faenza, non ho avuto complicazioni, e mi son trovata benissimo. Fino all’anno scorso solo i cesarei programmati dovevano partorire a Ravenna o Forlì. Ad agosto hanno inserito nuove categoria ‘a rischio’, la lista è sempre più lunga. Credo che sia una mossa strategica per accelerare la riduzione del numero di parti, in modo che non si arrivi a 500 e si possa chiudere il reparto. E’ davvero vergognoso che si voglia chiudere questo bellissimo reparto, qui arrivano mamme da Marradi, Tredozio, Modigliana, San Cassiano…insomma il nostro ospedale ha un grande bacino d’utenza. Centralizzare i punti nascita e ridurli di numero, è una strategia politica ed economica che non condivido, perché rende più insicuro, stressante e ansiogeno il parto. Dobbiamo difendere il nostro reparto, il diritto delle donne di partorire in reparti familiari, sicuri e vicini!”.

“Sono una mamma, mi sono trovata a partorire a Ravenna, perché indirizzata lì dall’ospedale di Faenza. Ecco tornassi indietro neanche per idea.. Il reparto è sovraffollato..Le povere ostetriche corrono da una parte all’altra e non hanno il tempo di dedicarsi ad una mamma che in quel momento avrebbe tanto bisogno di loro. Mentre il reparto di Faenza così piccolo ma accogliente con personale qualificato e gentile non è per niente valorizzato. Perché non puntare su un reparto come quello di Faenza? Non capisco…”.

“Sono una mamma di Faenza, ho 32 anni. I miei primi due bimbi sono nati a Faenza; nel reparto di ostetricia-ginecologia mi sono sentita entrambe le volte accolta e accompagnata con empatia e professionalità. Quando sono rimasta incinta per la terza volta mi sono quindi naturalmente rivolta al consultorio familiare di Faenza, con il desiderio di poter partorire nuovamente nell’ospedale della mia città, vicino a casa, in un ambiente conosciuto e familiare. E’ stata una doccia fredda apprendere invece che questa volta non avrei potuto partorire qui poiché, avendo sviluppato il diabete gestazionale, la mia gravidanza non era più classificata come fisiologica. Tuttavia, fortunatamente, nel mio caso non si trattava di una condizione patologica preoccupante: infatti il diabete era ben compensato e gli esami tutti nella norma. La stessa cosa mi era già successa nel corso della mia prima gravidanza; in quel caso, però, ho potuto serenamente partorire qui a Faenza…! E questa volta, del resto, mi è stato detto che potevo partorire in qualsiasi ospedale tranne che Faenza e Lugo… a significare che non era affatto la mia condizione a rendere poco sicuro il parto nell’ospedale della mia città ma esclusivamente una decisione di tipo ‘politico’ che di certo non persegue l’obiettivo di rendere un buon servizio ai cittadini! Il momento del parto dovrebbe essere vissuto il più possibile come una cosa naturale, e la donna dovrebbe essere messa nelle condizioni che più la fanno sentire serena e al sicuro; certamente io ho vissuto in maniera negativa questo obbligo a dovermi allontanare da casa per motivi indipendenti dalla tutela della salute mia e del bambino”.