Al termine delle cure, il 74% dei bambini e il 91% degli adolescenti che si erano ammalati di tumore tendono ad abbandonare l’attività motoria. Da questi dati nasce “Stronger 4 the Future”, un protocollo di attività fisica e nutrizionale pensato per i pazienti adolescenti dell’Oncoematologia pediatrica dell’ospedale Infermi di Rimini.

«Volevamo migliorare la qualità di vita dei pazienti dopo cure pesanti che spesso determinano deficit funzionali, che in parte possono essere superati con il giusto approccio», ha spiegato Roberta Pericoli, responsabile del reparto.

«Sono noti i rischi correlati, in generale, alla sedentarietà – ha precisato Elena Fabbri, principal investigator “Stronger 4 the Future”-. Nel caso del paziente sottoposto a cure per patologia oncologica, nello specifico ci sono rischi di compromissione della funzione cardio-respiratoria o osseo-muscolare, che possono portare, anche nel giro di poco tempo, a non essere in grado di svolgere attività quotidiane semplici».

Il progetto, che per ora è uno studio-pilota per chi ha sopra i 13 anni sostenuto dall’Istituto oncologico romagnolo e dalla Nove Colli, coinvolge il team dell’Oncoematologia pediatrica, una psicologa, un personal trainer e una nutrizionista.

Roberta Pericoli, responsabile dell’Oncoematologia pediatrica dell’ospedale di Rimini

A raccontare i benefici della sperimentazione è Samanta Nucci, psicologa del reparto: «Una ragazzina, iniziato il percorso, mi ha detto di aver sentito il suo corpo finalmente vivo. La mobilità attiva e contrasta anche gli effetti collaterali, come l’aumento di peso, che specie nelle ragazzine è una grande preoccupazione». Danilo Ridolfi, personal trainer, ha aggiunto come i programmi siano adattabili a pazienti debilitati dalle cure: «Gli allenamenti si modificano nel tempo, ecco perché la collaborazione con le figure mediche, che mi dicono cosa si può fare e cosa non, è fondamentale per ideare gli esercizi». Debora Guerra, nutrizionista, segue i ragazzi sul versante dell’alimentazione: «Fin da subito sono partita con un’esperienza di educazione alimentare. Vorrei che i pazienti acquisissero una conoscenza e un’autonomia rispetto al cibo, di modo che negli anni possano mantenere un adeguato approccio alla tavola. Il cibo ha tanti aspetti legati alla socialità e alle emozioni, quindi non si poteva troppo calcare la mano sulle restrizioni. L’obiettivo, dunque, non è limitare e stressare gli adolescenti ma insegnar loro a mangiare».