Mancata abitudine alla regolarità e al ritmo dei pasti. Ma anche una trasformazione dell’assetto familiare, dei ritmi quotidiani di vita, una sensazione di crescente instabilità e di conseguenza, un minor tempo e attenzione ai legami e alla comunicazione, può portare a farsi compagnia con il cibo. Anche non riuscire ad apprendere in maniera profonda e stabile aspetti educativi sul cibo, sullo stile di vita e sulle relazioni con sé e l’altro rischiano, se non approfonditi, di compromettere il senso di identità personale soprattutto in un momento dello sviluppo, dove naturalmente regna l’incertezza.

sweet snacks, merendineQuesta la fotografia emersa a conclusione degli incontri di sensibilizzazione che, nei mesi di aprile e maggio 2014, il Centro Obesità e Nutrizione Clinica (Conc) di Villa Igea, ospedale privato in Forlì, ha tenuto agli studenti delle seconde classi (grafici e socio-sanitari) dell’Istituto di Istruzione Superiore Roberto Ruffilli di Forlì. Una equipe Conc, formata dal medico endocrinologo dottoressa Valeria Zaccheroni, dallo psicologo dottoressa Debora Battani, dalla dietista dottoressa Elena Zorzetto e dal medico fisiatra dottoressa Lisa Zambelli, con la presenza dell’insegnante Maria Luisa Ravaioli, hanno eseguito 2 incontri per ogni singola classe della durata di circa 2 ore ciascuno aventi l’obiettivo di stimolare alla cura del sé e di sviluppare un’attenzione “partecipata” e consapevole al corpo, al sé e all’alimentazione.

“Abbiamo invitato i ragazzi ad eseguire un disegno partendo dallo stimolo ‘se ti dico piatto cosa ti viene in mente’. Questo stimolo permette di fare emergere in maniera spontanea e non ragionata i significati (medico, nutrizionale, emotivo, psicologico e comportamentale) per gli studenti – spiega l’equipe di medici Conc – Il riesame e le considerazioni sugli elementi emersi nel ‘disegna piatto’ e dei suoi significati, raccolti tramite la tecnica del brainstorming, venivano rivalutati a distanza di circa 2 settimane”. Dai disegni degli studenti del settore grafici sono emersi: “I ricordi, la casa, le abitudini, quello che mi piace, l’uso del cibo come fonte di gratificazione, le idee culturali sulla dieta, il cibo come compensazione, il piatto legato ai segnali fisici di fame e sazietà, il cibo come elemento creativo, il piatto legato a desideri sull’immagine corporea, alla salute, all’impulsività ed ai desideri del momento. Per questi studenti è emerso un atteggiamento marcato di volere interpretare ciò che vuole l’altro per accontentarlo, una ricerca della perfezione nell’immagine ed un’attenzione al bello come, peraltro, il percorso di studi stimola”.

Dai disegni degli studenti di una delle classi del settore socio-sanitario sono emersi: “Il piatto come tavola, i ricordi, i desideri, il piatto collegato alle emozioni, collegato alle abitudini, alle tradizioni, una cura di se stessi, alla compagnia ed alla famiglia, il cibo legato ai riti (festa) o alle necessità (pratico), ai segnali corporei, a come vorremmo essere. Questa classe, in particolare, è riuscita ad esprimere – continua l’equipe di medici – maggiormente la parte emotiva anche con disegni più liberi e meno tendenti ‘per forza’ al bello. Dai disegni degli studenti dell’altra classe del settore socio-sanitario emergono: il piatto come tavola, il piatto legato alla salute e al benessere, alle passioni che nutrono, agli stimoli fisici, visivi (colori ed effetto sul corpo), al piacere, ai rituali (festa), alla cura di sé, ai ricordi ed alla famiglia, al senso di inadeguatezza, il piatto collegato alle bevande, alla pubblicità, alla difficoltà di attivarsi”.

Ci sembra che per età l’aspetto sulla preoccupazione del giudizio altrui fosse molto spiccato, tanto da portare la rappresentazione del piatto come oggetto senza significato. Nello sviluppo di ciascuno, ed in particolare in adolescenza, il sentirsi ‘uguali’ è temporaneamente la fonte di sicurezza per individuarsi. Logisticamente la stanza ha richiesto una vicinanza di lavoro in piccoli gruppi e tendenzialmente ogni tavolo aveva un tema simile sugli operati dimostrando tale aspetto di funzionamento”, spiegano i medici.

Poi gli incontri sono proseguiti chiedendo ai ragazzi cosa pensavano emergesse dallo stesso laboratorio svolto dai pazienti ricoverati presso il Conc per obesità grave: “I ragazzi erano portati a pensare che i pazienti potessero identificare nel piatto gli stessi significati, riconoscendo come differenza la quantità e la probabile modalità degli atteggiamenti. Un ambito di riflessione è stato anche sull’attività motoria in relazione all’alimentazione, all’immagine corporea ed all’attivazione per la cura di sé e della propria salute. Sia per l’alimentazione che per l’esercizio fisico emergevano atteggiamenti dicotomici ‘tutto o nulla’, in relazione al pregiudizio sociale che definisce dieta un atteggiamento unicamente restrittivo e volto al dimagrimento (anziché come stile comportamentale equilibrato e costante) e attività fisica, un impegno finalizzato al raggiungimento di risultati sull’immagine corporea e non sul guadagno di salute o il piacere psicofisico, come frequentemente riscontriamo anche nei nostri pazienti – spiegano i medici del Conc – Nella conversazione con i ragazzi spiccava la mancata abitudine alla regolarità e al ritmo dei pasti, intesi più come la risposta (spesso non adeguata in termini qualitativi e quantitativi) all’emergenza dello stimolo biologico (fame) o emotivo (noia, rabbia…). Tale aspetto così precocemente presente favorisce un atteggiamento impulsivo e poco controllabile di fronte al cibo”.

Una caratteristica dei disegni degli studenti a confronto con i disegni delle persone ricoverate è che i primi riempiono meno il foglio rispetto ai secondi. “E’ verosimile ipotizzare che per i ragazzi il cibo sia uno degli aspetti della vita mentre spesso per le persone affette da obesità rappresenti una ‘coperta’ a tutti i bisogni e una fonte esclusiva (di gratificazione, sfogo, spontaneità…) e i disegni frequentemente occupano tutto il foglio – continuano gli esperti Conc – Tutti questi elementi fanno riflettere sul crescente problema dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare proponendo lo sviluppo di una attenzione precoce realizzabile tramite azioni di prevenzione e non solo di cura. Ci sembra quindi indispensabile un programma di formazione/prevenzione volto all’acquisizione di una maggior consapevolezza sul comportamento alimentare e lo stile di vita”.

Il laboratorio si è concluso con un questionario anonimo somministrato ai ragazzi, nel quale poter esprimere le osservazioni e valutazioni in merito all’attività svolta: “Qui emergono una maggioranza di giudizi positivi sull’esperienza e sulla sua utilità, un senso di appagamento sulle aspettative e le osservazioni ‘negative’ riguardavano esclusivamente la durata ritenuta troppo breve. I ragazzi hanno inoltre esplicitando di conoscere prevalentemente i contenuti emersi ma di avere necessità di approfondirli. Tale elemento rispecchia anche un funzionamento sociale che pare caratterizzato da una trasformazione dell’assetto familiare, dei ritmi quotidiani di vita, una sensazione di crescente instabilità e di conseguenza, un minor tempo e attenzione ai legami e alla comunicazione che purtroppo può evolvere nel farsi compagnia con il cibo o nel non riuscire ad apprendere in maniera profonda e stabile aspetti educativi sul cibo, sullo stile di vita e sulle relazioni con sé e l’altro rischiando, se non approfonditi, di compromettere il senso di identità personale soprattutto in un momento dello sviluppo, dove naturalmente regna l’incertezza. In definitiva… i disturbi del comportamento alimentare non hanno età né corpo“.

Il lavoro svolto dalla equipe del Conc sarà presente anche al BV OFF della Settimana del Buon Vivere 2014. Inoltre il Centro Obesità e Nutrizione Clinica di Villa Igea sta pensando di riproporlo per altri istituti nella città per il prossimo anno scolastico.