L’uno per cento della popolazione italiana soffre di epilessia. Nel mondo, le persone che ne sono affette sono 65 milioni. In Emilia-Romagna si parla di 22mila casi. Numeri che l’Associazione epilessia Emilia-Romagna (Aeer) è abituata a snocciolare ma che, agli occhi di molti, restano come invisibili.
Lunedì 13 febbraio, Giornata internazionale dell’epilessia, anche i monumenti di alcune città della regione saranno illuminati di viola, un colore che secondo il presidente di Aeer Tarcisio Levorato indica lo stigma al quale i malati sono ancora sottoposti: “Essendo anche io epilettico, ne so qualcosa. Molte persone non trovano lavoro perché, costrette a dichiarare l’epilessia, vengono subito escluse ai colloqui. Per non parlare del mondo della scuola: con gli stessi insegnanti, i muri da abbattere sono ancora molti. Poco tempo fa mi ha telefonato una mamma disperata perché la figlia non aveva ancora avuto l’assegnazione dell’insegnante di sostegno e dell’educatore: era costretta ad andare lei a darle da mangiare, con il figlio più piccolo in braccio. Io sono stato mandato in pensione a 42 anni perché, alla visita che i medici mi fecero per stabilire se ero idoneo al nuovo ruolo che avevo chiesto di ricoprire nell’ente pubblico in cui già lavoravo, venni dichiarato inabile a qualsiasi professione”.
Eppure, il 70% degli epilettici conduce una vita normale: “Più che di epilessia, sarebbe corretto parlare di epilessie. I casi sono diversi, il grado di invalidità pure. Certe volte l’epilessia si associa ad altre patologie, altre no. Quello che le accomuna è l’esordio, che avviene in età pediatrica o dopo i settant’anni”.
Al telefono di Aeer chiamano i pazienti ma anche i loro familiari e amici. Spesso vittime dei pregiudizi: “Nella classica crisi epilettica la persona, che fino a un minuto prima stava bene, perde il controllo di sé e del proprio corpo, ha le convulsioni. Questo fa paura. Conosco malati che non accettano l’esenzione sui farmaci pur di non fare sapere che sono epilettiche”.
Oltre al supporto di Aeer, che ha attivato gruppi di auto mutuo aiuto, secondo Levorato è fondamentale la famiglia, che “nell’accettazione della malattia ha un ruolo importantissimo”. Presto, per sensibilizzare la popolazione, partiranno alcuni progetti nelle scuole: “I bambini sono più ricettivi dei grandi. E quando vanno a casa, raccontando ai genitori cosa hanno visto e sentito. Solo partendo da lì possiamo sperare di cambiare davvero le cose”.
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