Aveva abbandonato la figlia appena nata in ospedale. Aveva 19 anni e l’uomo che l’aveva messa incinta era sparito. I genitori l’avevano convinta che non riconoscere la bambina e permettere l’adozione era la soluzione migliore. Lo aveva fatto a malincuore, si era pentita quasi subito ed era tornata in ospedale con la speranza di riavere la figlia. Ma era troppo tardi: era già stata data in adozione e di lei non si sapeva più niente. O, meglio, le leggi allora non consentivano di sapere più niente. Non l’ha vista per mezzo secolo fino a quando non c’è stato il colpo di scena degno di un romanzo di Dickens. La vicenda, che ha per protagoniste una settantenne romagnola e una donna bolognese di 50 anni ed è stata raccontata dal quotidiano la Repubblica, ha avuto un imprevisto finale quando la figlia ha deciso di usufruire del “diritto di conoscere le proprie origini”, così come stabilito dalla giurisprudenza recente. Un muro che è stato abbattuto: diversamente dal passato, adesso chi è stato adottato ha gli strumenti per ricostruire la propria storia per rispondere al richiamo del sangue.

Tutto era nato da una richiesta fatta qualche mese fa dalla donna bolognese al Tribunale dei minori. Quella, appunto di voler conoscere i genitori biologici. Quelli adottivi invece sono una coppia che le ha dato tanto amore, che le ha permesso di studiare, di farsi una posizione e di avere, a sua volta, dei figli. La burocrazia si mette in moto e alla fine scova la madre. Ha quasi 70 ani e vive in Romagna. Quando le comunicano la notizia scoppia in lacrime perché, in fondo, lei ci ha sempre sperato, un giorno, di riabbracciare sua figlia. La sua unica figlia, dato che dal matrimonio non ne sono nati altri. Adesso, come ha spiegato Repubblica, manca solo l’ultimo passo. Quello dell’incontro tra le due. Dopo cinquant’anni madre e figlia potranno finalmente vedersi e abbracciarsi.